PORDENONE – Anche se l’edizione di quest’anno ha strizzato l’occhio alle band dall’impronta decisamente più Rock rispetto al passato, il Pordenone Blues Festival si conferma ancora una volta come una delle rassegne musicali più importanti del Nord Est e non solo.
Un calendario denso di concerti ed appuntamenti satellite hanno fatto sì che, anche questa volta, svariate migliaia di persone hanno raggiunto la città di Pordenone da ogni dove per partecipare alle serata in programma.
E’ bastato osservare le targhe delle macchine parcheggiate sin dalle prime ore del pomeriggio, oppure ascoltare la gente parlare, per capirne la provenienza, se da altre regioni italiane, oppure da nazioni limitrofe.
Dopo l’apertura in pompa magna il giorno prima con l’esibizione affidata al leggendario nome dei Deep Purple, il calendario del Festival prevedeva lo spettacolo degli inglesi The Cult.
Con l’organizzazione “storica” dell’Associazione Pordenone Giovani, questa manifestazione negli anni passati ha presentato, nei vari bill, nomi come John Mayall, Eric Sardinas, Anastacia e Steve Winwood, solo per citarne alcuni, oltre al compianto Jeff Beck nell’edizione di un anno fa.
Questa volta invece il Pordenone Blues Festival ci propone la storica band inglese nella quale rimangono solamente due dei membri fondatori, Ian Astbury alla voce, e Billy Duffy alla chitarra.
Ad aprire la serata, sarebbe ingiusto non menzionarli, i canadesi The Damn Thruth per un piacevole e colorato salto ai tempi degli hippies.
La cronaca. Finalmente smette di piovere ed il popolo dei The Cult è pronto ad accogliere i propri dei e tre minuti dopo le ventidue eccoli salire sul palco e prendere posizione.
Passano rapidamente i primi tre brani iniziali ed ecco che arrivano già le prime hit, in sequenza Sweet Soul Sister seguita da The Witch, pezzi che hanno il potere di catturare il pubblico, mentre Lil’ Devil mantiene alta la carica elettrica della serata.
Astbury, vestito di nero con abito lungo, larga bandana a coprir la fronte fino quasi agli occhi, e due lunghe trecce di capelli neri, sembra quasi un magnetico stregone pellerossa intento a celebrare riti propiziatori per la sua tribù.
Ed il gioco diventa quasi magico quando, sulle note di Rain, qualche goccia inizia a scendere sulla folla entusiasta.
Inutile dire sia stato questo uno dei picchi della serata, ma non da meno l’immancabile She Sells Sanctuary eseguita immediatamente dopo (entrambi i brani estratti dal secondo disco The Cult del 1985).
Ma c’è ancora spazio per raggiungere nuovamente alte vette con la chiusura, classica, di Love Removal Machine.
Dopo ottanta minuti di culto del Rock, il nostro rituale purtroppo si chiude, ma siamo talmente tanto elettrizzati che ci va bene così.
Anche questa volta si tratta semplicemente di musica ma ci piace, e come se ci piace.
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
Foto di Elisa Moro