In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
VIRTUS BOLOGNA – PALLACANESTRO TRIESTE: 70-78
Virtus Bologna: Cordinier 14, Pajola 7, Clyburn 11, Visconti n.e., Hackett 2, Grazulis 3, Morgan 9, Polonara 5, Diouf 1, Zizic 16, Akele 2, Tucker.
Allenatore: D. Ivanovic. Assistenti: N. Jakovljevic, D. Parente.
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 19, Obljubech n.e., Deangeli (k), Uthoff 12, Ruzzier 10, Campogrande 2, Candussi 9, Brown n.e., Brooks 12, Johnson 6, Valentine 8.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Rossi, Vallerani, Capotorto.
BOLOGNA – Speriamo che il buon Lucio Dalla, virtussino DOC, da lassù non se ne abbia troppo a male se usiamo il titolo di uno dei suoi capolavori immortali per descrivere un’impresa a metà fra il miracoloso e l’epico di una squadra che, la sua Virtus, l’ha meritatamente battuta a casa sua.
Nella trasferta più difficile dell’anno, nel momento più complicato per gli infortuni agli uomini più importanti, dopo quattro sconfitte consecutive e davanti a pronostici che la davano come inevitabile vittima sacrificale sul campo dal respiro europeo della Segafredo Arena due giorni dopo l’epica vittoria all’ultimo respiro a Vitoria dei padroni di casa, Trieste sfodera una prestazione clamorosa, costruita prima di tutto su attributi solidissimi ed un carattere indomito che già conoscevamo, una sfacciataggine ed una resilienza che da fine agosto costituiscono il tratto distintivo di questo roster.
Ma limitare al carattere ed all’incapacità di arrendersi alle avversità le motivazioni che consentono alla Pallacanestro Trieste di tornare dall’Emilia con due punti dal peso specifico incalcolabile sul pullman che la riporta sotto San Giusto sarebbe ingiusto e limitante.
La verità è che Trieste, in qualunque conformazione viene schierata, è capace di pensare, di avere pazienza, di fare la cosa giusta al momento giusto, di approfittare della prestazione insufficiente di una Virtus distratta prima, supponente poi, frustrata alla fine, con una intelligenza che la avvicina alla perfezione.
Coach Ivanovic, per ovvie questioni di turn over dopo una dispendiosa (anche se vittoriosa) trasferta in Spagna ed alla vigilia del doppio turno europeo, rinuncia a Toke Shengelia e Marco Belinelli, centellina l’utilizzo di Achille Polonara, ma può pur sempre contare su almeno 9 giocatori da quintetto in qualunque altra squadra in LBA, una superiorità tecnica di base accentuata dall’assenza di Markel Brown e Justin Reyes e dal rientro a scarto ridotto di Colbey Ross.
E comunque il carattere esuberante dell’esperto allenatore montenegrino e l’entusiasmo derivante dalla vittoria a Milano nell’ultimo turno di campionato doppiata nei Paesi Baschi grazie al gioco da 4 punti di Will Clyburn non consentono certo di credere veramente che la Virtus possa aver sottovalutato l’impegno contro una squadra tignosa che aveva dato filo da torcere a Trento, Trapani e Brescia nelle stesse condizioni di roster.
Molto più semplicemente, Trieste si mette finalmente a difendere in modo efficace ed intenso, contestando ogni singola linea di passaggio finalizzata a liberare i tiratori da oltre l’arco (alla fine sarà 6 su 20 il conto delle triple per la Virtus), concedendo -anche per problemi di falli- libertà sotto il ferro ad un inarrestabile Ante Zizic ma intasando il pitturato in modo da impedire sistematicamente le incursioni di Cordinier, Clyburn, Paiola e Morgan (praticamente mai arrivati al ferro), brutalizzando Hackett, il cui unico discutibile merito rimane quello di provocare il trash talking che genera il secondo tecnico e l’espulsione di Valentine ma che viene sistematicamente raddoppiato e forzato a commettere errori (2 punti, 2 palle perse, -4 di valutazione e -32 di plus/minus per l’ex compagno di squadra di Jeff Brooks raccontano in modo eloquente la sua partita).
Per uno Zizic inarrestabile, però, i lunghi triestini spingono lontano dal ferro Diouf, che fuori dalla sua comfort zone a mezzo metro dal canestro perde i superpoteri, e Grazulis, costretto a prendersi conclusioni da fuori che sarebbero pure nelle sue corde ma costituiscono solo metà dell’arsenale a sua disposizione, ma indotto anche a commettere falli ingenui a metà campo sul portatore di palla quando tenta lo show difensivo.
Se un aspetto statistico poteva essere temuto più di altri, specie in presenza di difensori intensi, fastidiosi ed intelligenti come Pajola e Cordinier, era sicuramente quello delle palle perse, specie per una squadra che nelle ultime partite perdeva mediamente più di 15 palloni.
Ed in effetti, dopo quattro minuti nel primo quarto la specifica casella recitava già 4 turnovers, facendo presagire una partita caratterizzata da decine di contropiede virtussini.
Succede, però, che Valentine dopo pochi minuti sia costretto a prendere la via degli spogliatoi trattenuto per la maglia dal team manager Nicola Pilastro: da quel momento, i turnovers saranno solo tre, e tutti nel primo tempo.
Nei secondi decisivi venti minuti Trieste non perderà più nemmeno un pallone, piazzando uno dei mattoni più importanti nelle fondamenta di questa vittoria.
Detto dello strapotere di Ante Zizic, non è possibile evitare di notare come il quartetto costituito dai due “cinque” di ruolo Candussi e Johnson e dai due lunghi aggiunti Uthoff e Brooks consentano di vincere clamorosamente la sfida a rimbalzo: 35 carambole conquistate da Trieste contro le 33 catturate da Bologna, con ben 11 rimbalzi offensivi quasi sempre trasformati in seconde o terze chance vincenti.
Candussi e Johnson fanno quello che sono chiamati a fare, con il primo a colpire da oltre l’arco (attirando i lunghi avversari fuori dall’area creando praterie sotto canestro), il californiano a catturare rimbalzi ed addirittura andare a schiacciare per ben due volte, per la prima volta in stagione.
Secondo mattone su cui il sacco della Segafredo Arena è costruito.
Terzo mattone: la prima partita veramente convincente di Luca Campogrande e Lodo Deangeli, chiamati a compiti di sacrificio e poco appariscenti svolti in modo umile ma estremamente diligente ed efficace, specie nella metà campo difensiva, dove costringono sistematicamente gli avversari a forzature ed errori, palle perse (12) e sorpresa frustrazione.
Naturalmente non è possibile evitare di notare come il rientro al comando, pur non al 100%, di Colbey Ross abbia letteralmente riacceso la luce nella metà campo offensiva. L’ex MVP rimane l’accentratore di sempre, ma si prende responsabilità clamorose nel momento più importante ed emotivamente più difficile, quando la palla pesa mezzo quintale ed a emergere rimangono solo i giocatori dotati di attributi e sfacciataggine in misura non comune.
Ross realizza 19 punti in 23 minuti (probabilmente molti più di quanto programmato), tirando con il 56% da tre, ma soprattutto prendendo la squadra per mano prima nei momenti più difficili (il -8 con possibile -11 nel primo quarto, il -3 nell’ultimo quarto con inerzia in mano alle V nere), poi quando era essenziale piazzare le mazzate decisive (tre triple nel finale dal peso specifico incalcolabile).
Ross è coadiuvato in regia da un Michele Ruzzier sempre più padrone delle sue prestazioni, sempre più autoritario e decisivo: Michele è un giocatore diverso rispetto a quello arrivato a Trieste proprio da Bologna nel dicembre 2022, notevolmente più completo, migliorato dal punto di vista tecnico, più solido e sicuro di sé dal punto di vista mentale. Un leader vero.
E poi, i due veri valori aggiunti dell’intera stagione, decisivi a Bologna come in ogni singola occasione precedente.
Se a Jarrod Uthoff non è stato fatto firmare un contratto pluriennale o non si stia tentando di allungare quello in essere, ciò costituirebbe un errore clamoroso: l’uomo di Iowa è un coltellino svizzero capace di svolgere in modo credibile compiti in almeno tre ruoli (di cui due non naturali), glaciale nel non abbattersi per errori banali, determinato nel voler reagire immediatamente agli stessi.
Sbaglia un tiro aperto da tre? Stoppa, parte in contropiede, prende un rimbalzo in attacco, segna la tripla nell’azione successiva. 20 di valutazione complessiva ed una presenza costante, una specie di totem per coach Christian.
Siamo, infine, indecisi se chiedere di costruire una statua equestre a Jeff Brooks o a chi abbia deciso in estate che l’ex Reyer possa essere un elemento in grado di fare ancora la differenza in Serie A.
Chiamato nuovamente a partire in quintetto, il trentacinquenne americo-italiano tiene il campo con autorità per 37 minuti, elevando a dismisura intensità, efficacia e responsabilità quando la partita e la situazione di punteggio portano ad esigere esperienza, furbizia e sangue freddo.
Il suo campionario è costituito da punti (12) e rimbalzi (8), dal 75% da due punti ed il 50% da tre, ma soprattutto da un finale di partita da incorniciare, in cui prima realizza punti decisivi, poi dà coraggio ed esalta i compagni, impedisce loro di abbattersi nel momento di massimo sforzo della Virtus e dà loro il sangue freddo per ragionare quando arriva il momento di non forzare, di non commettere errori stupidi, di lasciare che i due punti vengano da soli a sedersi sulla panchina triestina. Il 24 finale di valutazione, pur lusinghiero, racconta poco dell’importanza basilare di questo giocatore nell’economia complessiva della squadra.
Angoli da smussare ne rimangono a bizzeffe, e siamo sicuri che lo staff tecnico già da domani continuerà a lavorarci.
Messa a posto per una volta la casella delle palle perse e quella dell’organizzazione difensiva, rimane da valutare la percentuale dalla linea della carità: in una partita giocata sul filo dell’equilibrio, con avversari in bonus molto presto nel quarto quarto, tirare con il 65% potrebbe rivelarsi letale.
E poi, è indispensabile maggiore disciplina nell’evitare di protestare inutilmente ed in modo troppo plateale: posto che in Serie A gli arbitri tendono a sanzionare atteggiamenti sopra le righe, specie fuori casa, evitare di prestare loro il fianco eviterebbe conclusioni a cronometro fermo quando meno è opportuno subirne.
A Bologna i 4 tecnici fischiati costano un’espulsione e poco più (dal momento che i conseguenti tiri liberi sono stati tutti sbagliati), ma si tratta di un demerito della Virtus se tali sanzioni non si siano rivelate decisive.
Concluso il ciclo terribile con la conquista di una vittoria che riporta Trieste al sesto posto (a pari punti, fra le altre, con una Milano questa sera clamorosamente fuori dalle prime 8) si squarcia la coltre di nubi nerissime che si erano addensate sul cielo triestino.
Questo risultato, conquistato nel momento più inaspettato, può potenzialmente costituire un vero game changer per la stagione biancorossa, che non aveva mai perso consapevolezza delle proprie qualità ma faticava a monetizzarle sul campo.
Conquistare uno scalpo così prestigioso, dopo che nel carniere sono già stati messi quelli di Milano e Tortona, potrebbe fungere da vero interruttore nelle menti dei biancorossi anche sul piano dei risultati, oltre che su quello dei complimenti. Inoltre, tre delle quattro partite che rimangono da qui al termine del girone d’andata si disputeranno al PalaTrieste (sabato prossimo contro Cremona, la domenica successiva contro Venezia e dopo due settimane contro Pistoia), con l’unica trasferta prevista nella tensostruttura adattata a palasport di Scafati.
Se non già contro Cremona, quasi certamente contro Venezia la squadra tornerà a poter contare anche su Markel Brown, mentre sono attese novità sul fronte Reyes o sul suo possibile sostituto.
Nella notte che sta per finire
È la nave che fa ritorno
Per portarci a dormire (*)
(*) La Sera Dei Miracoli (Lucio Dalla, (C) Sony/ATB Music Publishing LLC, Universal Music Publishing Group)
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Crediti: foto Panda Images