In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni

PALLACANESTRO TRIESTE – REYER VENEZIA: 70-76
Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Bossi n.e., Ross 6, Deangeli (k), Uthoff 16, Ruzzier 5, Campogrande n.e., Candussi 3, Brown 8, Brooks 9, Johnson 6, Valentine 17.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Reyer Venezia: Tessitori(k) 6, Lever n.e., Casarin 3, Fernandez, Moretti 11, Ennis 9, Janelidze n.e., Kabengele 11, Parks 18, Wheatle, Simms 11, Wiltjer 7.
Allenatore: Neven Spahija. Assistenti: Emanuele Molin, Alberto Billio, Veljko Perovic.

Arbitri: Paternicò, Galasso, Marziali.

TRIESTE – Alla fine va come deve andare, vince la squadra che sbaglia meno nei momenti più importanti ed è abile nel far valere la sua straripante fisicità sotto canestro.
Trieste spreca malamente alcune occasioni per ricucire lo strappo finale, fallisce un paio di tiri aperti ed un paio di tiri liberi (tra l’altro con il giocatore che più di tutti avrebbe voluto segnarli per motivi che vanno ben oltre il risultato della singola partita), perde un paio di palloni sanguinosi e subisce dall’altro lato la rara qualità di un giocatore come Jordan Parks di tirare fuori dalla spazzatura palloni ormai perduti e trasformarli in oro colato per la sua squadra.
Venezia vince con merito un derby brutto e teso, in cui i difetti sono più evidenti meglio dei pregi, in cui gli errori incidono più delle esecuzioni ben fatte, ma alla fine vince chi, tutto sommato, sbaglia di meno quando conta.
A proposito di difetti: una partita così importante dal punto di vista della classifica, giocata davanti a 5800 spettatori abbondanti, con così tanti campioni in campo per giocare una partita a scacchi tesissima anche dal punto di vista mentale, avrebbe certamente meritato di essere condotta da un trio in grigio perlomeno all’altezza dell’evento.
Paternicò, Galasso e la signora Marziali, più che in altre occasioni, sono pesantemente protagonisti in negativo, sbagliano spesso metro di giudizio ed oltretutto lo cambiano più volte in corso d’opera risultando a fasi alterne permissivi fino ad ignorare contatti da rugby e subito dopo fiscali fischiando anche i giri d’aria, prendono decisioni cervellotiche dettate presumibilmente da mania di protagonismo -non crediamo all’incompetenza, quello sarebbe davvero troppo- danneggiando prima di tutto lo spettacolo e risultando, in modo eufemistico, ben poco casalinghi.
La società è nuovamente diplomatica, come di consueto si rifiuta di commentare la conduzione arbitrale ed anzi ne elogia le capacità comunicative (sebbene non si esprima sui contenuti di tali comunicazioni), ma a questo punto, a tutela se non altro degli ingenti investimenti effettuati in estate, potrebbe essere giunto il momento di far sentire la propria voce in Lega (che prevedibilmente aggiungerà danno alla beffa affibbiando l’ennesima pesante multa a Trieste per aver messo in scena una protesta peraltro sempre rimasta nei limiti di fischi legittimi e meritati).
Però Trieste, è bene sottolinearlo nuovamente, non perde la sfida con gli orogranata a causa delle decisioni arbitrali. La perde perché non trova le contromisure adeguate ad una difesa asfissiante già a metà campo in apertura di secondo tempo, nonostante schieri il quintetto base, quello che finora aveva portato più dividendi alla causa biancorossa.Ed invece, proprio con quei cinque, non riesce mai ad incidere nel pitturato, viene spazzata via sotto le plance (e si poteva anche metterlo in preventivo) dai lunghi lagunari dotati di una fisicità clamorosa e probabilmente senza pari in LBA.
Quando si inceppa anche il tiro da fuori, che aveva tenuto a galla la prestazione nei primi venti minuti, è notte fonda: la rottura offensiva dura un’eternità, e consente a Venezia, che pure non brilla in quanto a precisione, di prendersi per inerzia un vantaggio di 14 punti che sembra già una sentenza sul risultato finale. Ovviamente, questa squadra ha insegnato che non esistono gap che non proverà a ricucire, ed ognuno dei quasi seimila presenti sapeva bene che Trieste avrebbe raddoppiato lo sforzo in difesa, ritrovato soluzioni in attacco e che la partita si sarebbe rimessa su binari di equilibrio. E’ ciò che infatti avviene nel giro di non più di quattro-cinque minuti, grazie alla resurrezione offensiva di Jarrod Uthoff ed a qualche giro di lancetta di follia da parte di Jayce Johnson, che stoppa, prende rimbalzi, capisce che, volendo, può competere con Kabengele anche dal punto di vista fisico specie a qualche metro di distanza dal ferro, e, soprattutto, infila sei tiri liberi consecutivi esibendo una insospettabile tecnica da guardia. E’, però, uno sforzo soprattutto dal punto di vista fisico che, ruotando non più di sette giocatori, si paga carissimo. Negli ultimi cinque minuti, infatti Venezia, al netto di conclusioni in cui la dea bendata ci mette abbondantemente del suo (una palla tirata a caso in aria da Kabengele sbatte sul vetro e si infila beffarda a canestro), ritrova la mentalità da killer che le aveva permesso il primo strappo, sfrutta la maggiore fisicità sotto canestro ed approfitta in modo letale della scarsa lucidità di Trieste, che pure avrebbe avuto più occasioni per tornare a non più di un possesso di distanza.
Uno degli emblemi delle difficoltà nel finale è Denzel Valentine, autore di 14 punti nel primo tempo frutto di una prestazione nuovamente giudiziosa ed ordinata, con il peso della responsabilità offensiva a tratti gravanti interamente sulle sue spalle senza che ciò ne destabilizzi l’equilibrio o lo faccia deragliare in eccessi tecnici o emotivi.
Ma anche lui, alla fine, paga lo sforzo clamoroso gettato in campo sia in attacco che in difesa per recuperare lo strappo, e viene inesorabilmente braccato dalla freschezza fisica degli esterni lagunari, che riescono ad arginarne la produzione offensiva quel tanto che basta per renderlo ininfluente sul risultato.
E’ anche la giornata peggiore di Colbey Ross, che nei 22 minuti passati sul parquet colleziona un -4 di valutazione finale che ben inquadra un disastro fatto di pessime percentuali al tiro, palle perse, iniziative offensive forzate e fuori ritmo, amnesie difensive, tanto che per la prima volta anche Jamion Christian decide di averne avuto abbastanza togliendolo dal parquet nei minuti finali, usualmente suo territorio di caccia.
Trieste sconta anche un ritorno poco brillante in campo di Markel Brown, forse ancora un po’ indietro di condizione, che dà sì buone sensazioni dal punto di vista fisico in quanto al recupero dall’infortunio, ma non è in grado di incidere in attacco (un paio di air ball da tre non fanno certamente parte del suo bagaglio), ed è protagonista di un paio di inusuali amnesie difensive che costano care.
La clamorosa seconda parte di incontro su entrambi i lati del campo disputata da Uthoff ne riscatta un primo tempo decisamente sottotono, anche lui evidentemente intimidito dai chilogrammi esibiti da Venezia nel pitturato soprattutto in attacco.
Anche Jeff Brooks fa quello che può, ma in assenza di Candussi e Johnson non può arginare avversari che, quando si avvicinano al ferro dal post basso, arrivano sempre alla conclusione.
Per lui, chiaramente, le motivazioni di rivalsa sono quasi palpabili, e tutto sommato soprattutto in attacco la sua prestazione raggiunge abbondantemente la sufficienza.
Solita partita ordinata ed intelligente per Michele Ruzzier, stavolta chiamato agli straordinari data la serata storta di Colbey Ross. Da lui, però sarebbe stato necessario aspettarsi maggiore produzione offensiva, o se non altro maggiore intraprendenza nelle conclusioni, anche se non si può non notare come lui in particolare non sia stato particolarmente tutelato da direttori di gara che, proprio quando gli esterni di Venezia elevano a dismisura l’intensità difensiva picchiando come fabbri sul perimetro, decidono di adottare un metro particolarmente permissivo.
I difetti di Trieste, alla fine, sono sempre quelli, e diventano più evidenti quando vengono affrontate squadre lunghissime ed attrezzate soprattutto lì dove i biancorossi mostrano maggiore fragilità, magari in serate come questa nelle quali uno o più dei key men bucano l’appuntamento.
Primo difetto fra tutti: le rotazioni ridottissime, seppur tornate pressoché al completo (è inutile ormai considerare Reyes come assente: difficilmente rivedremo il portoricano in campo in questo campionato).
I giocatori non impiegati sono quattro su dodici, mentre degli otto utilizzati uno -Francesco Candussi- resta abbondantemente sotto i dieci minuti.
Fa piacere constatare come il plus/minus dei giocatori partiti dalla panchina sia di +20 in una partita persa di 6, ma si tratta, alla fine, di soli due elementi “e mezzo”.
La domanda, quindi, è sempre la stessa: così com’è questa squadra può già oggi ambire a traguardi importanti, la conquista di trofei, la pretesa di vincere tutte le partite come il GM Arcieri continua ad affermare in sala stampa? Ognuno, anche tenendo presente la sfida contro Venezia (che peraltro dal canto suo lamentava due pesanti assenze), può dare la sua risposta.
Era la partita del ritorno a Trieste di numerosi ex provenienti da varie epoche biancorosse, in particolare di quella legata ai trionfi dell’Alma.
Alessandro Lever è il quinto lungo di Venezia e continua a non trovare minuti in campo, Giga Janelidze è solo un complemento per gli allenamenti ed anche lui non si alza dalla panca.
Jordan Parks è imprescindibile per la Reyer, un giocatore totale di una intelligenza cestistica clamorosa, esplosivo sia sotto canestro che sul perimetro, uomo chiave per coach Spahija.
Ed infine, un impalpabile Juan Fernandez: il Lobito gioca 6 minuti, giusto il tempo di far riprendere fiato a Ellis e Moretti.
Emozionatissimo, specie all’inizio, per l’ovazione con la quale viene riaccolto al PalaTrieste, sbaglia tutti i tiri che prova e finisce con -1 di valutazione.
E’ probabile che questi livelli di fisicità mal si attaglino al suo stato di forma, e che la sua voglia di rientrare ad alti livelli si scontri con l’evidenza di una carriera appena ricominciata a quasi 35 anni ma giunta malinconicamente al crepuscolo.
Ora Trieste si trova nella necessità di dover vincere entrambe le partite che restano prima della fine del girone d’andata per centrare matematicamente il primo obiettivo stagionale, quello di finire fra le prime otto per poter partecipare al weekend di Torino che assegnerà la Coppa Italia in febbraio, sebbene con qualche risultato favorevole da altri campi potrebbero essere sufficienti anche solo due punti.
D’altronde aspettarsi aiuti dall’esterno ha da sempre portato malissimo, per cui sarà preferibile basarsi esclusivamente sulle proprie forze.
Partite decisamente alla portata ma pur sempre delicate e niente affatto comode, prima in trasferta sul campo di Scafati e poi in casa con Pistoia, entrambe squadre alla ricerca di punti che possano metterle in posizione di sicurezza e magari rilanciarle in funzione playoffs.
Successivamente, il girone di ritorno asimmetrico regalerà due trasferte consecutive non certo agevoli, prima a Reggio Emilia, poi ad Assago contro l’Olimpia.

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images