In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni

PALLACANESTRO BRESCIA – PALLACANESTRO TRIESTE: 93-90
Pallacanestro Brescia: Bilan 20, Ferrero, Dowe 5, Della Valle 16, Burnell 22, Tonelli n.e., Ivanovic 8, Mobio 3, Rivers 12, Cournooh 7, Pollini n.e.
Allenatore: P. Poeta. Assistenti: M. Cotelli, G. Alberti, D. Moss.
Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Reyes 9, Deangeli (k), Uthoff 12, Ruzzier 12, Campogrande n.e., Candussi 14, Brown 20, Brooks 6, McDermott, Johnson 4, Valentine 13.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

Arbitri: Gonella, Noce, Lucotti.

BRESCIA – Partita tecnicamente impeccabile? Assolutamente no. Errori, difese (soprattutto quella triestina in avvio di partita) in affanno, ingenuità da una parte e dall’altra, qualche palla persa di troppo.
Ma, anche, tantissima intensità, fiammate e controfiammate, i go-to men che fanno, per l’appunto, i go-to men sui due lati del campo, thrilling fino alla sirena finale con il risultato sempre in bilico.
Ed anche tanto, tantissimo pathos, con nessuna delle due squadre disposta ad arrendersi, ad arretrare di un passo, una ventina di giocatori ad affrontarsi a muso duro senza mai eccedere nell’agonismo e nella cattiveria, ma costantemente determinati a non arretrare di un centimetro.
Due squadre che esprimono una filosofia di pallacanestro opposta fra loro, una sorta di “guerra dei mondi”: più tradizionale e prevedibile, ma con un tasso di efficacia ineguagliabile quella bresciana, basata sul semplice gioco alto-basso, palla a Bilan e dieci secondi di palleggi che si concludono alternativamente con il pallone in fondo alla retina dopo essere stato rilasciato a venti centimetri di distanza, oppure con il passaggio a una mano sul perimetro verso il compagno lasciato libero da una difesa che inevitabilmente collassa nel pitturato attorno al totem croato oppure con l’assist preferibilmente ad un Jason Burnell che accorre dal lato debole a beneficiare dell’effetto calamita esercitato dal maturo centro bresciano sull’intera retroguardia avversaria.
Meno prevedibile e più arrembante la filosofia triestina, giocata a 150 all’ora, con tantissime transizioni, la ricerca della conclusione entro i primi dieci secondi di ogni azione, lo sbilanciamento verso le conclusioni da oltre l’arco: certamente meno affidabile ma più moderna, meno prevedibile e, quando funziona, più spettacolare. Ma anche, quando non funziona alla perfezione, incapace di rivelarsi vincente.I sospiri platealmente esibiti da Peppe Poeta pochi secondi dopo che il buzzer beater mancato da Sean McDermott aveva graziato la sua squadra, potenzialmente tradita pochi secondi prima da uno dei pochissimi errori dalla lunetta di un altrimenti infallibile Amedeo Della Valle, riassumono il sollievo provato dalla Leonessa per aver portato a casa una partita iniziata in discesa grazie ad una intensità difensiva biancorossa non pervenuta, ma divenuta complicatissima grazie alla clamorosa reazione degli uomini di Jamion Christian, capaci come sempre di distribuire responsabilità ed ammortizzare l’assenza di Colbey Ross redistribuendo le sue qualità fra la razionalità e l’organizzazione offensiva di Michele Ruzzier e l’imprevedibile creatività di Denzel Valentine (in perfetta ottica “next man up”).
Come spesso successo in situazioni simili, però, Trieste si perde proprio sul più bello, proprio quando era sul punto di conquistare definitivamente l’inerzia dell’incontro, anche se c’è da dare il giusto merito ad una Germani che trova due triple dal peso specifico incalcolabile proprio quando gli attributi di Ivanovic e Della Valle rimanevano le ultime risorse a disposizione di un Peppe Poeta che fino a un minuto e mezzo dalla fine assisteva alla resistenza di Trieste come a quella di un pugile sfinito sotto i colpi dell’avversario che rimane spavaldamente in piedi e restituire jab a jab, gancio a gancio, diretto a diretto, senza mai dare nemmeno l’impressione di poter finire al tappeto.
E’ anche, però, una partita largamente imperfetta quella che Trieste gioca al Palaleonessa, molto al di là degli episodi che in ultima analisi fissano il punteggio finale ed indirizzano i due punti in classifica.
Innanzitutto la difesa raccapricciante nel primo quarto, specie nel pitturato, non può certo essere giustificata dalla ricerca di soluzioni alternative all’assenza di Ross. Né Johnson né Candussi, e nemmeno Uthoff riescono a venire per 10 lunghissimi minuti a capo delle scorribande di Miro Bilan sotto canestro, e dire che il gioco del 36enne croato e la predisposizione della sua squadra a cercarlo con insistenza parossistica spalle a canestro o (più raramente) come terminale dei pick and roll, fosse il segreto peggio custodito della storia.
Bilan per dieci minuti sembra il classico Under 15 cresciuto troppo in fretta, che dall’alto dei suoi due metri si prende gioco degli avversari normodotati nelle partite giovanili tirando in testa a tutti sfruttando il suo incolmabile vantaggio fisico.
Talvolta la difesa addirittura si apre come il Mar Rosso al comando di Mosè, facendo illudere il croato così come i 5000 che affollano il palazzetto lombardo che quella contro Trieste -che non tracolla esclusivamente in quanto sostenuta dalla caterva di rimbalzi offensivi catturati che si trasformano in seconde e terze chances- si sarebbe potuta ben presto trasformare in una passeggiata.
Finalmente, però, il coaching team triestino riesce a reagire in corsa alla situazione, e mette una pezza all’imbarazzante emorragia grazie all’esperienza di Jeff Brooks, davvero l’unico biancorosso capace di trovare contromisure adeguate: fisico e gomiti, posizione e tempismo, intimidazione e agonismo sono le armi con le quali l’ex Reyer mette fine al dominio incontrastato del croato, e con esso di gran parte della eccessiva facilità offensiva bresciana, sintetizzata in percentuali al tiro irreali e vicine al 90% sia da due che da tre punti.
Regolata la difesa e rallentata la produzione offensiva dei padroni di casa, la contesa si trasforma in una partita di scacchi, sporca e talvolta confusionaria, che a tratti vive di velocissimi ribaltamenti di campo quasi mai produttivi, alternati a momenti di pallacanestro spettacolare, organizzata ed emozionante.
Trieste è sorretta nel secondo tempo dal tiro da tre, Brescia non snatura il suo gioco anni ’80, ne esce una contesa risolta, alla fine, da due triple di Ivanovic (lasciato colpevolmente libero di ricevere palla nell’angolo) e Della Valle, dall’errore finale di McDermott che dal -3 avrebbe potuto portare la contesa all’overtime, intervallate dalla bomba di Ruzzier e dall’ingenuità di Uthoff che, nel tentativo di far rimbalzare il pallone sulla gambe di Bilan (sempre lui…) per ottenere la rimessa laterale, finisce per regalargli un pallone che finirà nelle mani di Burnell ad un metro dal ferro.
Episodi conditi da decisioni (o non decisioni, in qualche caso) del trio in grigio che, ben lungi dal rivelarsi decisive finiscono nel complesso per tutelare eccessivamente alcuni giocatori ben individuati -per usare il linguaggio della burocrazia LBA- punendone pignolamente altri.
Ma di arbitraggio e di quanto le decisioni arbitrali nell’arco di un campionato tendano ad equilibrare vantaggi e svantaggi sono ormai pieni blog e quotidiani, inutile soffermarcisi troppo: fa parte del gioco.
Poche le sorprese dal campo rispetto a quanto ci si potesse aspettare da ognuno dei biancorossi scesi in campo: spaesato McDermott, apparso avulso dalle meccaniche della squadra sui due lati del campo.
Intimidito Johnson, come sempre successo quando opposto a giocatori sulla carta dominanti: i suoi limiti risiedono soprattutto nella sua testa, quando si convincerà che con quel fisico e quel tempismo a rimbalzo può essere dominante anche lui, riporrà il braccino che lo induce a sbagliare conclusioni da un centimetro e diverrà quel giocatore prepotente nel pitturato di cui la squadra ha un bisogno essenziale, specie se vuole guardare in alto verso le squadre che tale dominio lo hanno connaturato al roster.
Mentalità già matura, invece, in un Francesco Candussi pericoloso da ogni punto del campo, anche lui brutalizzato da Bilan nel primo quarto (e nel resto della partita) ma sfrontato e coraggioso quando si tratta di prendersi responsabilità in attacco. Potendo unire in un singolo giocatore la sua faccia tosta e la sua tecnica alle qualità fisiche del compagno californiano, Trieste si ritroverebbe in squadra uno dei centri migliori d’Europa.
Ruzzier e Valentine, come detto, sintetizzano in due le qualità latenti del play titolare assente, anche se sarebbe necessaria maggiore intraprendenza offensiva da parte del neo trentaduenne triestino, che quando chiamato in causa dimostra di possedere qualità balistiche e personalità sufficienti per sopperire anche alla produzione offensiva (punti) mancanti.
I due piazzano complessivamente 15 dei 19 assist complessivi attribuiti alla squadra (7 per Valentine, 8 per Ruzzier), segno della loro dedizione alla costruzione del gioco ed alla ricerca della soluzione a più alta percentuale di realizzazione.
Markel Brown gioca a fiammate, inizia con le polveri bagnate, poi aggiusta la mira e permette a Trieste di mettere un paio di volte il naso avanti nel terzo e quarto quarto. Nel finale, quando tenta di attaccare il ferro, subisce un evidente quanto ignorato contatto che ne spegne definitivamente la verve nella metà campo offensiva e, con essa, le possibilità di riagguantare Brescia. Sbaglia anche due pesantissimi tiri liberi nei momenti decisivi, ma è pur sempre il miglior tiratore biancorosso dalla linea della carità, e comunque fin lì aveva fatto percorso netto: peccato costoso ma veniale.
Un po’ sottotono, invece, Jarrod Uthoff, forse alla sua peggiore esibizione in stagione: altre volte gli era capitato di iniziare la partita con la mira sghemba, affrancandosi però dall’insufficienza grazie alla dedizione difensiva ed ai colpi letali inferti all’avversaria quando più conta.
La partita, stavolta, non viene a lui nemmeno nel finale, che lo vede anzi per la prima volta costantemente in ritardo in difesa ed impreciso da ogni spot in attacco. Sulla falsariga delle ultime due uscite, infine, un Justin Reyes impiegato solo 13 minuti nei quali riesce però ad esibirsi nel solito campionario di palle rubate, conclusioni acrobatiche fuori equilibrio, attacchi prepotenti al ferro, una difesa che si fa più credibile di partita in partita: il suo problema -e quello del coach- rimane la tenuta fisica che gli consenta un maggiore minutaggio, specie con un McDermott ancora da inserire.
Ora la squadra deve velocemente chiudere il capitolo bresciano, ed entrare in modalità “win or go home”, mentalità con la quale questa formazione deve ancora misurarsi per la prima volta.
C’è da dire che un giocatore fondamentale come Markel Brown solo un anno fa in tale modalità ci è entrato in modo clamoroso trascinando Napoli fino in fondo alla competizione, ma il resto della squadra deve ancora misurarsi con la necessità di non farsi schiacciare dall’ansia da prestazione e dall’importanza dell’obiettivo, di giocare con leggerezza mantenendo però determinazione e cattiveria agonistica.
Del resto è la modalità che Trieste dovrà accendere una volta conquistati i play off, e dunque tanto vale adeguarsi da subito.
Giovedì, peraltro, si inaugura un ciclo di quattro partite che inizia e finisce con una sfida contro Trapani lontano dal PalaTrieste: quarto di finale di Coppa Italia a Torino, poi la sosta di campionato quantomai gradita per recuperare Ross e portare in pari McDermott, la doppia sfida casalinga di inizio marzo con Treviso e Scafati ed, appunto, la trasferta a Trapani.
Una Trapani che sorprende tutti dimostrando, alla fine, la sua vulnerabilità andando a perdere clamorosamente sul campo dell’ultima in classifica.
Si, Può, Fare!

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images