UDINE – Al termine di ogni suo concerto ho sempre provato come una piacevole sensazione di essere avvolto in un comodo plaid, uno di quelli composti da tanti quadri colorati, quelli che oramai non si vedono più da anni.
In questo caso la differenza è che con la coperta non mi riscaldo, ma mi ritrovo invece ad essere cullato da sensazioni ed emozioni che mi portano a fantasticare ed immaginare quanto la musica mi suggerisce.
Per giustificare questi stati d’animo basta ascoltare la voce di Loreena McKennitt e le melodie da lei intonate.
Dal debutto avvenuto con Elemental nel 1985, il percorso partito concettualmente dalla verde Irlanda (lei è di origini irlandesi e scozzesi), ha permesso al suo pubblico di fantasticare e viaggiare sino in terre esotiche molto lontane.
Ogni disco si è presentato pregno di sapori musicali, sfumature, atmosfere di ogni tipo e suoni amalgamati in modo da trasmettere palesi suggerimenti descrittivi per l’ascoltatore.Ma veniamo ora al concerto svoltosi nella serata conclusiva di Folkest (International Folk Festival), la nota rassegna che dopo ben undici anni di assenza ha ospitato nuovamente Loreena McKennitt nella suggestiva location del Castello di Udine per una serata che ha riservato due piacevoli sorprese.
La prima di queste è stata la formazione che è salita sul palco allestito nel piazzale del maniero rinascimentale, un inedito ensemble rispetto a quanto ci potevamo aspettare.
Una formazione ridotta rispetto alla coinvolgente carovana musicale delle altre occasioni.
Esclusi dai giochi ghironda e ammalianti percussioni etniche, oltre alla McKennitt e alla sua splendida e potente voce limpida che sembra non risentire del tempo che passa (suona anche pianoforte, fisarmonica e arpa celtica), troviamo gli storici collaboratori Brian Hughes ai plettri, Caroline Lavelle al violoncello, voce e flauto e Hugh Marsh al violino, oltre al contrabasso di Dudley Philips e la sezione ritmica di Robert Brian.
La seconda sorpresa invece risulta essere la scelta dei brani suonati in questo tour, una piacevole scaletta che si svela man mano che il concerto si svolge.
Davanti a millecinquecento spettatori, per due ore filate di spettacolo, i venti brani in programma sono tutti storici pezzi della sua nutrita discografia.
Si parte con The mystic’s dream dal disco The mask and mirror del 1994, album dal quale vengono riproposti il maggior numero di brani, si passa poi per The Visit del 1989 (All souls night e Bonny Portmore), The Book of secrets del 1997 (Marco Polo e Dante’s prayer per la chiusura), An ancient muse del 2006 (The gate of Istanbul), sino al protagonista discografico attuale che dà il nome al presente tour partito in marzo, ovvero Lost Souls pubblicato nel maggio 2018 e dal quale vengono riproposti in ordine di esecuzione Ages past, Ages hence, Spanish guitars and night plazas, Manx Ayre e l’omonima Lost souls.
La quarantunesima edizione di Folkest non si poteva chiudere in modo migliore.
Dopo un mese di eventi sparsi in ventidue comuni che hanno ospitato cinquanta spettacoli per la bella cifra di dodicimila spettatori, una serata all’insegna della musica irlandese assieme a Loreena McKennitt, musa per eccellenza della musica celtica, era l’evento ideale.
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
Foto di Walter Menegaldo