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14-07-2018 18:17 UDINE – E con questa siamo a sette, numero perfetto. Sto parlando di tutte le volte che i Simple Minds hanno suonato nella nostra Regione.
Tutte le provincie possono dire di averli ospitati almeno una volta. La prima risale al 1991 a Lignano allo Stadio Teghil con una replica quattro anni fa ma questa volta all’Arena Alpeadria, poi Trieste nel 1998 allo Stadio Grezar, Palasport di Pordenone nel 2003 e nel 2006, Grado nel 2012 per il tour 5×5 durante il quale presentavano cinque brani di maggior successo per i primi cinque dischi (in quell’occasione la tappa della cittadina della rivierasca registrò un sold out in prevendita), e quest’anno Udine al Castello per la prima volta come ha ricordato anche Jim Kerr dal palco salutando il pubblico ad inizio serata.
E così, come una partita a Risiko è stata messa una bandierina in ogni luogo, e speriamo ce ne siano delle altre.
A Giove Pluvio però sembra non andare giù il fatto che questi scozzesi suonino così spesso da noi, e così anche questa volta ha cercato di rovinare la festa mettendoci lo zampino. Dico questo perché l’ultima volta a Lignano nel 2014, un tremendo acquazzone sembrava voler gustare la serata, ma in quell’occasione lo storico vocalist tranquillizzò tutti dicendo che quella per loro era solamente acqua e suonarono il set intero come da programma.E così questa volta, a quattro anni di distanza, l’atavico dio che sembra aver un conto in sospeso con loro, si ripresenta puntuale con la sua pioggia anche nel capoluogo friulano.
Pensate sia riuscito nei suoi intenti? Mah chè sì, tutt’altro. Nulla ha fermato i Simple Minds e tanto meno il loro pubblico che mai ha accennato a mollare la presa.
Motivo ulteriore per fare festa e divertirsi ancor di più, confermando l’ottima organizzazione di Zenit srl che come sempre ha saputo scegliere un’ottima band per un luogo eccezionale, e la risposta da parte del pubblico ne è stata la conferma.
La data friulana in programma che si è svolta a Udine ricadeva nel tour di Walk between worlds, diciottesima fatica in studio (febbraio 2018), di Jim Kerr e Charlie Burchill (unici rimasti del nucleo originale) a celebrante anche il 40° anniversario della band, che sale sul palco alle 21.34 per due ore piene ed intense senza sosta e sotto la pioggia.
Sullo sfondo dodici pannelli luminosi a comporre uno schermo luminoso per spettacolari proiezioni colorate che riportano agli show televisivi degli anni ’80 (per non parlare delle tastiere a tracolla degnamente appartenenti a quegli anni lì ed erano anni che non se ne vedevano in giro), e davanti, assieme ai due storici membri originari, sul palco salgono altri cinque elementi della band con una notevole quanto insolita elevata quota rosa data la presenza di tre ottime musiciste alle tastiere, alla batteria e ai cori.
Diciotto i brani in scaletta (numero che ritorna in ballo, sarà un caso?), un’attenta selezione del meglio della loro carriera.
Si apre con The signal of the noise tratta da questo nuovo lavoro che li sta portando in tour (altri brani dello stesso disco saranno in ordine di esecuzione Sense of discovery, e Walk between worlds che dà il nome al disco), Mandela day (da Street fighting years del 1989), She is a river (da Good news from the next world del 1995), e uno dei pezzi immancabili come Someone somewhere in summertime del 1982 da New Gold Dream, e questo solo per citarne alcuni.
Chiusura da fuochi d’artificio con l’esecuzione filata di New Gold Dream, Don’t you (forget about me), Alive and kicking e Sanctify yourself.
Saluti finali sotto una battente pioggia…di entusiasmo del pubblico.
Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste
Foto di Simone Di Luca
12-07-2018 0:50 SESTO AL REGHENA (PN) – Non era mica scontato che i Mogwai potessero suonare dalle nostre parti.
Ci vorrà un bel po’ di tempo per poterli rivedere in zona se mai accadrà di nuovo. Chi non ha colto l’occasione per questo concerto di Sesto al Reghena, ha davvero sciupato una buona occasione.
Bisogna stare attenti al programma che offre il Sexto‘Nplugged (Associazione Culturale Sexto), ogni anno diverso e ogni anno con nomi interessanti.
Ininterrottamente, per un centinaio di minuti circa, il Piazzale del Castello si è riempito di manti musicali alternati a solide muraglie sonore dove cozzare improvvisamente dopo che i primi evocavano lontani e delicati paesaggi autunnali riscaldati da un tiepido sole basso.
Tutto questo succedeva lunedì 9 luglio ad opera degli scozzesi Mogwai, uno dei nomi più rappresentativi e longevi della scena Post Rock.
Stiamo parlando di una delle prime band che possono venir in mente quando si tira in ballo questo argomento e sicuramente tra quelli a cui è doveroso riconoscere il merito di aver sdoganato questo genere.
Non per nulla trovano spazio pure loro nel libro Post Rock e oltre, introduzione alle musiche del 2000 (aut. Cilia e Bianchi, ed. Giunti), un interessante libro dedicato a questo genere e che in quasi due centinaia di pagine riassume e incuriosisce per questo mondo musicale.
Tredici i brani previsti in scaletta, compreso l’encore. Una selezione di quanto prodotto in ventitré anni di attività durante i quali sono stati realizzati due live, ben quattro colonne sonore e dieci dischi in studio, tra i quali l’ultimo Every country’s sun del settembre 2017 e dal quale sono state eseguite alcune tracce durante la serata.
La nebbiosa atmosfera creatasi sul palco e spinta dalle luci tra il pubblico che cercava di ricomporsi, alla fine stentava a dissolversi.
L’impianto aveva smesso di rombare ma le orecchie fischiavano e i corpi vibravano ancora.
Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste Foto di Davide Carrer
9-07-2018 10:37 PORDENONE – E’ stata la serata che in questa stagione musicale non poteva assolutamente mancare. Un quadro perfetto sin dal luogo che ha ospitato i concerti, il Parco San Valentino di Pordenone, una piacevole oasi verde urbana che ha dato la marcia in più a tutto il contesto.
Partiamo dal principio però, dalla base, dalla manifestazione del Pordenone Blues Festival quest’anno giunto alla XXVII edizione confermandosi come evento solido e ben organizzato. Quest’anno nuovamente per diversi giorni consecutivi la città si è immersa nello spirito dei grandi eventi accogliendo oltre che numerosi spettatori anche moltissimi partecipanti attivi ai vari eventi collaterali.
Ci sono state proiezioni, contest, musicisti di strada ovvero i buskers provenienti da ogni dove, e incontri vario genere. Blues, musica e divertimento non sono mancati e i grossi concerti del parco hanno chiuso le serate proprio come le grandi manifestazioni devono fare.
Ecco quindi che si accendono i riflettori del palco per le stelle del cartellone ricco anche questa volta per mantenere alta la qualità delle passate edizioni.
La calda voce di Anastacia ha aperto le danze giovedì 5 luglio mentre il giorno successivo due esclusive nazionali dei Dr. Feelgood e Glenn Hughes hanno mantenuto calda l’atmosfera.
Chiusura con il botto sabato 7 luglio con tre nomi di tutto rispetto per un numeroso pubblico che ha preso posto con largo anticipo per non perdersi nulla.Il primo a salire sul palco è stato uno stagionato ma non per questo ammuffito Watermelon Slim. Un set di blues grezzo, rurale. Un viaggio alle radici del genere dove tutto è ridotto all’osso. Poche cose ma essenziali per questo bluesman vecchio stile che solamente con armonica, oppure slide guitar, e ovviamente voce ha condotto il pubblico in un fantastico viaggio negli States che ci immaginiamo ogni volta che le note di questo genere iniziano ad insediarsi nelle nostre orecchie. Il pubblico apprezza, si gode lo spettacolo seduto nel prato e tiene il ritmo con mani o piedi. È impossibile trattenersi.
Un necessario cambio palco prepara la strada alla seconda stella, ovvero Lee Fields & The Expressions per Soul di classe come solo i grandi possono permettersi.
Introduzione strumentale di rito come richiede il genere e si fa spazio al Soul man di questa sera. Un’orchestra di uomini bianchi vestiti con eleganti abiti scuri e un uomo di colore dalla voce calda, vestito in abito bianco. Che spettacolo, per occhi e per orecchie. Per non parlare del cuore, avvolto nel calore della performance.
La sera sta calando su di noi, gli alberi aiutano ad anticipare un poco il buio e le stage light invadono il palco facendo decollare lo spettacolare set. La gente è carica al punto giusto, l’atmosfera è di quelle che non provavo da tempo, ed è ora degli headliner.
Salgono sul palco i Level 42, britannici di passaggio in Italia per l’unica data. Mark King (basso e voce) e Mike Lindup (tastiere e voce), sono gli unici membri rimasti da quel 1979 quando si sono formati.
Ora nella band oltre ad un esplosivo batterista e tre super fiatisti, troviamo anche Nathan King, ottimo chitarrista fratello del fondatore Mark, nella band dal 2001.
Inutile dire che i brani più attesi sono le hit degli anni ’80 che li hanno resi famosi, quindi ecco Running in the family suonata subito come terzo brano di set list, Something about you e Lessons in love verso la fine. Ma i Level 42 sono anche molto altro, in primis ottima musica suonata in modo eccellente e il pubblico lo sa e non si perde un colpo per tutto il set.
Alla fine tra la gente sento solo commenti entusiasti e sguardi appagati.
Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste
www.pordenonebluesfestival.it
Promopressagency www.danielemignardi.it
5-06-2018 0:39 CAPODISTRIA – Onestamente non mi è facile iniziare a scrivere qualcosa di questa serata. Provo ancora una piacevole sensazione per la quale ogni parola che mi passa per la testa mi sembra banale, scontata o poco adatta. Pubblico, organizzazione, location, band principale e supporter si sono fusi alla perfezione creando una situazione perfetta e degna di venire definita un evento.
Assistere ad un concerto dei Gogol Bordello é un’esperienza completa che va ad appagare non solo una necessità musicale, ed è proprio per questo motivo che vederli live è sempre un piacere soprattutto se si tratta della prima volta
Questo perché proprio sul palco danno il meglio di loro aggiungendo altri esplosivi elementi che nella sola registrazione di un disco non è possibile includere.
Per il passaggio capodistriano si parte ben dopo l’orario stabilito, quando la sera è già calata da un bel po’ e dopo che gli ottimi Maika, band serbo-croata di apertura, hanno saputo riscaldare il pubblico a dovere.
Ecco quindi che si comincia per quelle che saranno due ore mezza di scorribande musicali in diversi generi ad opera di questo equipaggio di pirati il cui capitano è l’istrionica figura di Eugene Hütz con i suoi baffoni e l’inseparabile bottiglia di vino rosso che ad ogni concerto lo disseta. I brani che compongono la scaletta vengono estratti dai sette dischi realizzati dal 1999 ad oggi.I cavalli di battaglia come Alcohol, Not a crime e Pala tute (in chiusura di serata) si alternano con i brani Break into your higher self scelta per l’apertura e Saboteur Blues (tanto per citarne alcuni) del recente Seekers and finders del 2017, che da il nome a questo tour, mentre sul palco si assiste all’ennesima entusiasmante replica teatral-musicale-cabarettistica dei Gogol Bordello.
Balli sfrenati e continui crowd surfing sono le risposte del folto pubblico che, vista la location strategica del concerto, è arrivato anche da Italia e Croazia per poter assistere a questa serata di Gypsy Punk, termine questo che riassume non solo la musica della band, dato l’interesse che essa nutre verso l’Est europeo, ma anche per le varie provenienze e nazionalità dei componenti, a partire da Hütz, ucraino emigrato negli USA, ma passato per diversi paesi e luoghi (mi torna in mente il film documentario realizzato sul suo conto, The pied piper of Hützovina di Pavla Fleischer del 2007).
Forse sono rimasti fuori dalla scaletta alcuni brani che in molti si aspettavano, ma è inutile pretendere oltre quanto già avuto da questa serata curata in modo eccellente dall’ottima e accogliente organizzazione di Koda Events e VignaPr che hanno saputo scegliere una bella piazza che, grazie al suo contesto storico e architettonico, ha esaltato lo spettacolo.
Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste
Credit immagini Koda Events/VignaPR
18-05-2018 9:46 GORIZIA – La stessa domanda che già si era fatta spazio nei miei pensieri dopo un primo ascolto del disco, ha continuato ad insistere anche durante il concerto. Dove si era nascosta per tutto questo tempo Paola Rossato? Perché solo adesso ci regala questa piacevole perla di parole e musica?
Il disco d’esordio di questa cantautrice goriziana è come un cofanetto dei segreti personali che tutti noi possediamo e all’interno del quale custodiamo gelosamente desideri, sogni, pensieri, sentimenti e ricordi.
Un autentico scrigno della vita che pochi di noi però decidono di aprire e rivelarne il contenuto agli altri perché sanno già che si sentirebbero senza veli addosso.
Paola Rossato invece no, questo non vale per lei e con decisa maturità umana svela tutte le sue esperienze e lo fa con un bagaglio artistico notevole che funge da ottimo complice per questo suo debutto andato in scena al Kulturni Dom di Gorizia la sera di lunedì 14 maggio davanti ad una platea impaziente di poter finalmente assaporare dal vivo e in versione completa la suo opera prima dal titolo Facile, anche se per Paola raggiungere questo traguardo è stato tutt’altro che semplice.I tredici brani del disco raccolgono quanto provato sulla sua pelle a partire da Non Dormo, uno dei pezzi migliori, cronache comuni degli ambienti lavorativi dove tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, condizione per cui lo stress non ti porta a dormire, oppure L’uomo delle parole, dedicata ai troppi ciarlatani della società che dietro fiumi di parole millantano possibilità infondate, e la simpatica Emmi (Gr.), ironico pensiero sugli atti del corteggiamento, eseguita nel finale con il pubblico divertito ad ascoltare e guardare Paola a cantare tra il pubblico (…come i fighi… scherza lei in dialetto scendendo dal palco).
Questi sono solo alcuni degli esempi di queste esternazioni artistiche che sorprendono e di conseguenza piacciono per l’abbinamento delle melodie su cui vengono fatte scorrere le parole e la scelta delle musiche che le accompagnano, che variano dal classico stile del cantautorato (con voce e chitarra in primo piano) al Pop, dal Jazz da club a un lieve e raffinato Reggae.
Il tutto suonato con invidiabile feeling e maestria dai fidi musicisti Simone Serafini (basso elettrico e contrabbasso), Sergio Giangaspero (chitarre e cori), Ermes Ghirardini (batteria e percussioni), Gianpaolo Rinaldi (pianoforte e tastiere) e le piacevoli incursioni di Mirko Cisilino alla tromba e trombone.
Gran finale con bis di rito e un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile sia la realizzazione del disco che il concerto goriziano, con una menzione speciale per la madre Maria Medvešček, per certi versi produttrice del cd, e il fotografo Dean Zobec, curatore anche del sito e compagno dell’artista.
Vi consiglio di tenerla d’occhio. www.paolarossato.it
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
foto di Dean Zobec www.deanzobec.photo
4-05-2018 9:38 E così, per la prima volta, Alessandro Mannarino è passato per Trieste. Un evento atteso sia da fan, sia da artisti della scena musicale locale, che non è stato difficile individuare tra il pubblico nonostante la consistente affluenza. E non c’è neppure di che sorprendersi di tutto questo, dato che il protagonista della serata finalmente si è esibito in questa città che per troppo tempo è rimasta fuori dei suoi itinerari.
Ghiotta occasione quindi per tutti per poter assistere al concerto di una delle figure più interessanti tra i cantautori italiani attualmente sulla scena nazionale. Ma quanto tempo è passato dalle sue prima apparizioni e da quei primi passaggi in radio quando si faceva conoscere con Elisir d’Amor che purtroppo non è stata inclusa nella scaletta dei brani?
Forse la maturità artistica per Mannarino non è ancora arrivata, ma penso non sarà tanto distante. Ritengo sia solo questione di tempo, e l’ultimo lavoro Apriti Cielo dal quale sono stati suonati svariati brani durante la serata, e l’impostazione concettuale di questo tour L’Impero crollerà, ne sono la conferma.Durante le due ore intense di spettacolo Mannarino ha ripercorso la sua carriera e stregato il pubblico mediante le storie narranti di personaggi e situazioni che ben si sono incastonate con l’allestimento di scene e luci, ricreando situazioni e atmosfere assaporate con l’ascolto dei dischi e per questa occasione musicate da otto elementi presenti sul palcoscenico, tra i quali si sono potuti notare gli ottimi fiati (sassofoni e flauti) di Renato Vecchio, le belle percussioni di Daniele Leucci e la coinvolgente ed evocativa voce della brava Lavinia Mancusi, anche al violino e percussioni.
Il pubblico scalpita sia in platea che sugli spalti, non vede l’ora di potersi scatenare, e così sulle note di Animali, quando dal palco giunge l’invito ad alzarsi, la gente non si fa pregare e dà vita alla festa sino alla fine riempiendo la sala di ovazioni.
Non poteva andare meglio questo debutto regionale di Mannarino andato in scena al Teatro Politeama Rossetti di Trieste, organizzato assieme a Vivo Concerti e VignaPr. Una “prima” cittadina che ha lasciato il segno. E la sete di altri spettacoli di Mannarino si sta già facendo sentire.
di Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
foto di Simone Di Luca
26-11-2017 0:52 Fa un certo effetto salire le scale del Teatro Rossetti circondati dal vociare dei bambini.
Non si è abituati a questo tipo di confusione che però in questa circostanza rende frizzante l’atmosfera. Entrati nella sala illuminata in modo crepuscolare con musica quasi abissale in sottofondo, l’attesa si fa ancora più eccitante e sembra di stare dentro ad una bizzarra attrazione da parco dei divertimenti, mentre i bambini con le loro voci continuano a fare i padroni della serata.
Loro sono in netta maggioranza, ci sono anche diverse scolaresche, ma lo spettacolo è adatto a tutti e scommetto che più di qualche insegnante ha scelto di seguire gli alunni come qualche genitore ha deciso di accompagnare il figlio pur di vedersi lo spettacolo.
La scenografia che si intravede sul palcoscenico riporta ad uno strano scenario metropolitano di quelli che tanto andavano di moda negli anni ’80, ma la resa dello spettacolo sarà tutt’altro che vecchia o datata.
I Blue Man Group stanno finalmente per colorare il Teatro Rossetti dopo aver già imbrattato mezzo mondo con la loro vivacità.
La città ne ha ricevuto un assaggio in anteprima nella giornata precedente a questo debutto cittadino quando i tre uomini blu hanno scorrazzato per il centro e invaso il palazzo del municipio seguiti da fotografi e scrutati in modo curioso e perplesso da chi non li conosceva. Ora è giunto il momento di alzare il sipario e presentarsi al pubblico italiano che mai ha visto prima questo spettacolo debuttato nel 1991 negli Stati Uniti.Colorato, divertente, attuale, musicale, tecnologico, avvincente, imprevedibile, potremmo proseguire ancora per molto prima di fermarci con la lista dei termini e degli aggettivi che si potrebbero usare per descrivere ciò che i Blue Man Group portano in scena perché va oltre ogni sorta di previsione e regalano uno spettacolo unico con il coinvolgimento diretto del pubblico.
Simpatiche gag e mimiche sul palco non lasciano alcun dubbio per l’interpretazione delle scene, mentre una band di quattro ottimi musicisti indossa bizzarre tute colorate luminosamente per accompagnare non solo i vari siparietti ma gli stessi Blue Man quando si sfogano in performance percussive colorate con set di strumenti e vibrafoni realizzati con tubi di plastica.
E poi i colori in ogni forma possibile, luminosi, liquidi o creati da schermi che trasmettono filmati studiati per essere moderni come funzionanti touch screen di giganti smartphone con tanto di applicazioni.
Lo spettacolo è ben strutturato, studiato alla perfezione per stare al passo con i tempi e si muove grazie ad un ottimo staff di operatori nel back stage.
Non ci si annoia di certo per tutta la durata dello show soprattutto sul finire quando una vivace invasione di enormi palloni sulla platea, accompagnata da stelle filanti e musica, fa scollare dalle sedie i presenti, nessuno escluso.Alla fine, tutti sul palco giustamente, Blue Man, musicisti e addetti al dietro le quinte per un totale di quattordici persone.
Poi, a luci accese nel foyer, foto di rito con tutti, anche con i quattro elementi della live band.
Hanno colto nel segno i Blue Man Group e tutti li salutano come fanno loro, con le braccia ferme, alzate e la mano bene aperta.
Un Blue Man Saluto per la prossima colorata visita da parte loro a Trieste.
Ottima scelta da parte dell’organizzazione Teatro Rossetti e Show Bees. Repliche sino a domenica 26 novembre.
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste foto di Ivana Jurisevic
18-11-2017 14:38 UDINE – Finalmente qualcosa di diverso. Non il solito tour teatrale, non la consueta rappresentazione di uno spettacolo già visto, ma un inedito incontro tra il concerto, la rappresentazione scenica e un discorso di piazza di quelli che la storia ci ha fatto conoscere.
Ideologie politiche a parte (non sto scrivendo per questo motivo e non è mia intenzione fare alcuna propaganda o commento), questa volta si è trattato di uno spettacolo a tema che ha voluto celebrare il centenario della Rivoluzione russa, evento storico fondamentale per Massimo Zamboni ideatore di questa iniziativa che decide di inscenare un comizio musicale dove la scenografia semplice ma incisiva richiama agli allestimenti dell’epoca per i grandi oratori.
Ecco quindi che va in scena nel capoluogo friulano al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, I Soviet+l’elettricità 1917-2017 Un secolo di CCCP (organizzazione Azalea.it).
Sin da subito però il sospetto è che il pubblico partecipi alla serata principalmente per il trascorso Punk di Zamboni e Fatur nei CCCP Fedeli alla linea, e delle più recenti rivisitazioni dello stesso repertorio assieme ad altri compagni presenti anche in questa occasione (Angela Baraldi, Max Collini degli Offlaga Disco Pax, Simone Filippi degli Ustmamò). Filmati d’epoca, testi storici e racconti recitati compongono la set list assieme a brani dei già citati CCCP (Spara Jurij, Live in Pankow, A ja ljublju SSSR) e dei C.S.I (Cupe vampe e Unità di produzione), tutti rivisti musicalmente per l’occasione e decisamente in grado di catturare l’attenzione.
Danilo Fatur chiude il cerchio e per il suo ruolo affronta il pubblico senza timore come un tempo anche se le sue performance sono ben più sobrie di allora.
Congedo finale con Emilia Paranoica non prevista in scaletta e qualcuno che raggiunge le prime file per lasciarsi andare.
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
Foto di Nicola Lucchetta
9-09-2017 7:35
Sicuramente conoscerete la storia del vaso di Pandora e di cosa accade quando questo viene aperto.
Forse starò esagerando perché ora non stiamo a parlare di cose malvagie, ma nessun altro esempio mi viene in mente per poter descrivere la sensazione che ho provato durante l’ascolto dei dischi dei Franz Ferdinand, soprattutto per il primo e omonimo lavoro del 2004.
Per rendere chiaro il concetto del mio esempio, rimanendo in ambito musicale, ascoltandoli ho ritrovato suoni e riferimenti a diversi artisti o generi di svariati anni prima, e man mano che li riconoscevo, li catturavo e rimettevo dentro al vaso per facilitarmi nell’ascolto.
Inutile spiegare che non sto parlando di plagio o copiatura ma di ispirazione e percorso creativo.
Finalmente le stesse sensazioni con i Franz Ferdinand ho potuto provarle anche dal vivo, alla terza volta che li vedevo, la migliore di gran lunga rispetto le altre due e, se mi é concesso dirlo, era ora che questo concerto arrivasse.Sin da subito all’esibizione di Lignano Sabbiadoro, la band ha dimostrato di poter fare molto bene e divertire il pubblico senza dargli tregua, facendolo ballare per tutta la durate del set con una selezione di brani azzeccati e conosciuti da tutti.
Take me out, The dark of the matinée e Michael (da Franz Ferdinand del 2004), The fallen e Do you want to (da You Could Have It So Much Better del 2005), Stand on the horizon (da Right Thoughts, Right Words, Right Action del 2013) e Call girl e Save me from myself (da FFS del 2015, inaspettata collaborazione con la storica band americana degli Sparks), sono alcuni dei brani suonati prima di finire il set ordinario con Ulysses (da Tonight: Franz Ferdinand del 2009, forse il capitolo meno riuscito della band).
Dopo un’ora giusta di concerto, saluti finali e arrivederci davanti ad un pubblico caldo e soddisfatto sì, ma che avrebbe voluto ascoltare qualche brano di più come poi è stato con il consueto rientro sul palco.
Così con un lungo, ottimo e strabiliante bis iniziato con Outsider, suonata tra effetti luminosi, synth e Moog, l’Arena Alpe Adria si è riempita di atmosfera e feeling portando lo spettacolo al top, mentre This fire ha fatto ballare l’intero impianto sino alla fine senza lasciare nessuno deluso tra il pubblico.
Ancora una volta la nostra Regione ha avuto l’opportunità di ospitare grandi artisti e gli amanti dei concerti hanno fissato la bandierina sulla mappa come luogo dei grandi eventi. Spettacoli sapientemente selezioni e distribuiti sul territorio dagli organizzatori di Azalea.it, che non potevano scegliere un evento migliore per chiudere questa stagione sulla riviera lignanese.
Nessun dubbio, non si poteva finire meglio.
Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
foto di Simone Di Luca
3-04-2017 16:57 di Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
Nei lontani anni ’80 a Firenze succedeva qualcosa di inaspettato e di veramente bello.
Una primavera destinata a lasciare il segno negli anni a venire per quanto riguardava l’arte in generale, anche se il solco più grosso del quale è rimasto il segno riguarda sicuramente la musica.
Diversi i nomi che sino ad oggi sono ancora sulla bocca di tutti, anche se molti dalle correnti artistiche del tempo che fu hanno cambiato strada e si sono accasati verso poltrone ben più remunerative.
Tutto questo è stato raccontato in un bellissimo libro del 2003 da titolo Frequenze Fiorentine-Firenze anni ’80, scritto da Bruno Casini.
Molto interessante anche il cd con libretto dal titolo Firenze Sogna! del 1993, forse non facile ormai da recuperare.
Da questa mischia sono venuti fuori i Diaframma, band nata come tutte le altre a seguito dell’arrivo delle varie ondate musicali dal Regno Unito o da oltre Oceano, ma poi evolutasi con un’identità propria ancora oggi presente e contraddistinta dai testi delle varie canzoni.Guidati dallo storico Federico Fiumani (voce, chitarra, autore delle liriche e unico elemento rimasto dalla prima ora), i Diaframma vantano una discografia molto ampia dalla quale spicca il disco di debutto Siberia, ancora oggi considerato come uno dei migliori dischi della musica italiana.
Chiaramente a tanti anni di distanza per diversi e ovvi motivi non è più la stessa cosa e questo lo sappiamo tutti, ma ne è valsa la pena riempire il Teatro Miela per questo concerto della durata di due ore e conclusosi con ben tre brani fuori programma.
La storica Amsterdam, Diamante grezzo, Mi sento un mostro, La mia ragazza dorme la domenica mattina e Ultimo boulevard sono solo alcuni dei brani eseguiti durante la serata che per stessa ammissione di stanchezza del frontman dal palco, ha leggermente calato d’intensità per poi recuperare notevolmente alla fine con alcuni tributi come La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De Andrè e See no Evil dei Television.
Dopo il bellissimo concerto dei Tuxedomoon dello scorso novembre, ecco un ulteriore perla ritornare in città a ben sette anni di distanza dall’ultima esibizione che allora si svolse in un club.
Quella volta sulle note finali del set, Fiumani salutò il pubblico dicendo “Siamo solo uno dei tanti gruppi Rock in circolazione. Mi dispiace di avervi deluso.”
Ma nessuno avrà mai pensato questo. E lui lo sa.
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