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GRADO – Ad essere sincero temevo che quest’estate non avremmo potuto assistere ad alcun concerto. Non appena terminata la forzata reclusione della scorsa primavera, i vari appuntamenti estivi messi già in programma dall’autunno dell’anno passato hanno iniziato a subire rinvii o peggio ancora annullamenti.
Fortunatamente però c’è chi è riuscito comunque a proporre spettacoli di livello e degni del grande pubblico. Situazione per nulla facile o scontata per un lavoro già complesso in situazioni normali e questa volta reso ancor di più articolato con tutte le normative anti virus da rispettare.
L’Associazione Culturale Euritimica è riuscita anche quest’anno a sbalordire il pubblico delle grande occasioni proponendo un rispettoso cartellone per la XXIV edizione di Onde Mediterranee (chiusura della rassegna domenica 9 agosto a Palmanova con Max Gazzè).
Dopo l’apertura affidata a Tosca con un interessante spettacolo di ricerca musicale, ecco un gradito ritorno, quello di Daniele Silvestri, artista romano che non ha affatto bisogno di presentazioni.
Classe 1968 il noto cantautore, attivo dal 1994, ha richiamato al Parco delle Rose di Grado un folto pubblico che ha segnato, come prevedibile,  il sold out nonostante le regole che sin dall’inizio si sapeva dovevano essere rispettate.Tutti muniti di mascherina sul volto, rispettosi delle distanze e con i posti da occupare a seggiole alterne, abbiamo comunque saputo goderci lo spettacolo da seduti anche se rimanere fermi non è stato affatto facile.
Per due ore e mezzo di concerto (va d’obbligo segnalato che non ci sono state pause), Silvestri ha regalato una serata davvero ipnotica e ricca di atmosfere durante la quale ha ripercorso tutta la sua carriera proponendo live sia brani famosi, sia brani rimasti per tanto tempo fuori dalle sue scalette da concerto.
L’artista si è presentato al pubblico in perfetto orario, iniziando solamente con voce e piano con il brano A bocca chiusa, per poi farsi raggiungere dai sette elementi della band e, a line up completa on stage, c’è stato il momento del saluto al pubblico e l’invito sul palco di Claudio e Paola, genitori di Giulio Regeni, per un tributo e solidarietà alla loro nota causa.
Lo spettacolo che lo ha visto alternarsi tra voce, chitarra elettrica, acustica e pianoforte, e sempre con la sua inseparabile ironia e voglia di scherzare, è scivolato via mettendo in luce tutta la classe silvestriana, dove contaminazioni sonore di varo tipo (Swing, Reggae, Latino, Flamenco e Rock), sono state presentate anche in diversi brani, trasformandoli quindi in una chiave diversa da come li conosciamo.
Ecco quindi che la piccola orchestra, che questa sera ha fatto tappa sull’Isola del Sole, suona per noi i brani Io fortunatamente, Le cose in comune, Sornione, Caro architetto, Bliz gerontoiatrico e Sogno-B, Il flamenco della doccia e Il mio nemico, sparsi durante la serata che prevede nel programma un set elettrico ed uno acustico.
L’affiatamento dei suoi gregari è ottimale e testato già da tempo. Essenziali le percussioni aggiuntive di Jose Ramon Caraballo, suggestive le chitarre del fido Daniele Fiaschi, ottimi gli incastri di tastiere e synth di Duilio Galioto e di Gianluca Misiti (altro storico musicista al fianco di Silvestri), interessanti i fiati proposti da Marco Santoro (tromba e oboe). Senza dimenticarci della precisa e solida sezione ritmica composta da Gabriele Lazzarotti al basso e Piero Monterisi alla batteria sin dagli inizia di questa avventura artistica ritornata, questa sera, nella nostra regione.
Molti i brani attesi ma rimasti fuori dalla scaletta. Nemmeno i due bis con Gino e l’Alfetta, Salirò e La Paranza accontentano le speranze.
Si chiude con Testardo invece che con la solita Cohiba, ma dal palco Daniele Silvestri spiega che è una sua scelta e la riserva per le prossime volte quando ci sarà permesso saltare e ballare sotto il palco.
Anche se a malincuore noi tutti accettiamo, ma è una promessa che teniamo come un augurio per rivederci e cantarla assieme.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Angelo Salvin

Prendiamo quattro baldi giovani con la passione per il buon Rock di qualità, quello deciso e influente che ha lasciato una profonda ed inconfondibile impronta, mettiamoli assieme e lasciamo che in una sala prove sgorghi la loro passione come un fiume in piena.
Da questo incontro si crea una piacevole pellicola hollywoodiana che racconta di un viaggio in macchina attraverso lo stato a stelle e strisce, dove troviamo roadhouse e strade circondate dal deserto, mentre una piacevole colonna sonora fa da sfondo e ci coccola al suono di piacevoli melodie vocali sostenute da accattivanti ritornelli.
Nati nel 2017 da un progetto musicale scioltosi poco tempo prima, Davide Falconetti (chitarra e cori) e Paolo Cernic (voce) decidono di non gettare alle ortiche quanto già messo in cantiere con la band precedente rafforzandosi con l’arrivo dei due Andrea, Cok (Basso) e Imbergamo (Chitarra e Piano), e debuttano con Rock N’ Roll Rebirth dove, nonostante il classicismo dell’Hard e Melodic Rock, non mancano modernità e originalità che i quattro moschettieri nostrani del Rock hanno saputo dare a questa loro opera prima.
Già nel titolo (la traduzione dall’inglese significa La rinascita del Rock ‘n’ Roll), questo disco si presenta come un tributo a questo genere musicale che si svela come un viaggio attraverso la sua anima, passando per ogni sua declinazione e spin-off, omaggiando mostri sacri del settore che continuano a farci sognare con le loro composizioni.
Con le idee ben chiare del percorso che vogliono seguire, ma senza scendere a compromessi ed escludendo le tendenze musicali più in voga del momento, questa band fornisce un valido certificato a garanzia della genuinità del prodotto offerto, concepito e creato seguendo la strada “del suonare ciò che piace di più”.Negli undici capitoli che compongono il disco, i 5ive Years Gone (nome scelto per ricordare la durata delle precedenti esperienze in altri progetti di uno dei componenti e dalle quali sono state recuperate diverse idee rimaste allora nel cassetto), la band permette all’ascoltatore di orientarsi in questo vasto mondo musicale, fornendo una chiara e consultabile mappa grazie alla quale è possibile riconoscere le influenze di Gun n’ Roses e Bon Jovi, richiami agli Aerosmith e Cinderella, sino a qualche inaspettato personaggio che chi scrive individua nella Steve Miller Band e Hootie and the blowfish con la hit single All I know, splendido brano che si offre come valido biglietto da visita per l’ascoltatore.
Ma ci sono anche altre situazioni interessanti contenute in Rock N’ Roll Rebirth, come la ballata acustica Song 4 U, l’Heavy Rock di Mary Jane, il metal sfiorato di Promise e l’accattivante Never be the same. Tutto questo al suono di chitarre sanguinanti (come la band stessa ama definire), sotto la guida di un basso che segna la strada e di ritmiche precise delineate dalla batteria dell’ospite Francesco Bardaro che, oltre a suonare, ha prestato la sua esperienza come tecnico del suono nel suo studio dove il disco è stato registrato.

Peccato che i concerti in questo periodo virologico siano forzatamente latitanti; non sarebbe stato affatto male in questa estate poter ascoltare questo disco suonato live in riva al mare e ricreare con l’immaginazione qualche altra piacevole situazione soprattutto adesso che l’organico si è ampliato con l’arrivo del batterista Michael Bonanno, figura sino ad ora mancante.
Ora i 5ive Years Gone sono più carichi che mai e stanno preparando del nuovo materiale per un’altra appagante esperienza nel mondo del Rock.

 

di Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste

foto di Viktor Tomic

 

Pagina Facebook 5ive Yeras Gone

Canale Youtube 5ive Years Gone

TRIESTE – Sono passati già due anni da quando questa storica band francese ha nuovamente iniziato a girare in lungo e in largo dopo moltissimi anni di pausa.
E pensare che inizialmente avevano previsto solamente una cinquantina di date per celebrare i trent’anni del loro debutto discografico.
Invece dal palco del Teatro Miela di Trieste è andata in scena la centosettantaduesima replica per la band parigina dei Les Négresses Vertes che, al momento, non ha nessuna intenzione di fermarsi.
Mlah, parola che in lingua araba significa Tutto bene, era il titolo del loro primo disco (che ora viene celebrato), una pietra miliare, un caposaldo del Patchanka, genere che, sul finire degli anni Ottanta, ha iniziato a farsi strada anche grazie alla concomitanza del sound dei colleghi Mano Negra.
Stiamo parlando di un autentico crogiuolo di stili, influenze popolari e folkloristiche, riempito di sonorità anche grazie alle diversità culturali ed etniche dei componenti della band.
Vista l’eccezionalità dell’evento (sold out già diversi giorni prima), l’inizio della serata è stata anticipato da una breve presentazione dei festeggiamenti per i trent’anni del teatro, da parte dell’organizzazione.
Gli anni passano, i capelli bianchi e le rughe si son fatti strada sui volti di chi calca il palcoscenico e di molti dei presenti tra il pubblico, che un tempo hanno avuto la possibilità di vivere direttamente questo fenomeno in prima persona ma, nonostante tutto, la voglia di scatenarsi non è venuta meno da nessuna delle due parti.Una formazione di sette elementi, rimaneggiata nella line up già dal 1993 per la triste dipartita del paroliere e cantante Helno, omaggiato da Manu Chao con il brano Helno est mort (Sibérie m’était contéee del 2004) e dai Modena City Ramblers con Morte di un poeta (Riportando tutto a casa del 1995),  che non ha, però, deluso le aspettative, sfoderando energia, verve e diffondendo ottima musica verso un pubblico entusiasta.

Da Voilà l’ètè, passando per Hey Maria e Zobi la mouche, sono stati suonati tutti i cavalli di battaglia della band, andando a pescare anche qualcosa d’altro della loro attività musicale.
Un’autentica festa, alla quale molti non avrebbero mai sperato di poter assistere, nemmeno nel 2013, quando Stéfane e Iza Mellino (compagni nella vita e sul palcoscenico) avevano già fatto tappa proprio al Miela per un loro concerto.
Come già detto, diverse persone hanno dovuto rimanere fuori dal teatro poichè, in tanti, hanno voluto prendere parte a questa serata e non si sono lasciati sfuggire quest’occasione arrivando anche da fuori città.
Come Daria ad esempio, venuta da Gradisca d’Isonzo. Lei li aveva già visti a Francoforte nel 1992. Erano i tempi d’oro di Helno.

 

 

 

 

 

 

 

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Cristiano Pellizzaro (ad eccezione della locandina)

La fortuna ci ha baciati, ci è andata bene. La sorte ha voluto che i Beat on rotten woods fossero una meraviglia musicale triestina.
Era destino, doveva succedere. Le cose non accadono mai per caso. Potrebbe sembrare una lusinga che si spinge oltre al limite della decenza, un comportamento da ruffiano che anche per un adolescente sarebbe troppo, ma in un momento in cui mi sento di dire che rivisitazioni e tributi di ogni sorta hanno saturato il mercato e che l’originalità artistica oppure le novità in certi lasciano desiderare, ecco il debutto discografico dell’omonima band, Beat on rotten woods (registrato e mixato da Alessandro Giorgiutti e masterizzato da Gabriel Ogrin). Una bella ventata di aria fresca, una passeggiata in un vasto parco cittadino per fare una pausa dalla quotidiana confusione metropolitana.

Dopo averci concesso un assaggio con l’EP Stay rotten del 2016, arriva il primo capitolo della groove box triestina che per cinquanta minuti sprigiona una moltitudine di suoni mischiati a vari generi e stili (Blues, Grunge, Beat Box) che l’unione dei componenti ci permette di ascoltare.
Dal debutto avvenuto nel 2013 sotto forma di un’essenziale ed incisiva formazione a due, oltre all’EP e ai due video clip di Shining people e Spaces, sino ad oggi per i Borw c’è stato spazio anche per la partecipazione all’edizione 2017 del Mittelfest, per uno spettacolo sperimentale tra danza e concerto, oltre che ad una lunga serie di live, circostanza che da sempre ha contraddistinto la band e ha fatto sì che il loro pubblico diventasse davvero numeroso.
La decisione di ampliare l’organico per completare la ricerca dei suoni e creare maggior impatto, permette ai padri fondatori Rob e Mace (chitarra il primo, voce e beatbox il secondo), di farsi affiancare dal 2018 da Nevio (banjo e voce) e Tilen (basso, chitarra e voci) per il proseguio dell’avventura che oggi ci regala questo primo e completo lavoro discografico.
Per tutte le tredici tracce Beat on rotten woods (disco autoprodotto dalla band che da febbraio inizia una collaborazione con l’etichetta triestina MOLD Records), ci accompagna in un luna park sonoro dove melodie e ritmiche (beat box) creano situazioni urbane che si alternano a paesaggi desertici di un insolito e moderno Far West (descritto dall’intreccio di basso e chitarra) al suono di un insolito Blues che affonda le radici nella sua genuina tradizione, mentre l’inaspettato banjo appare a sorpresa come solido elemento in I built my home.
Difficile trovare il pezzo migliore all’interno di questo cesto di leccornie dove Monkey House è l’unico brano già presente nell’Ep, mentre la conclusiva Sleeping termina con un ridondante giro di chitarra che ci lascia assetati per un nuovo, immediato ed ingordo ascolto.
Assolutamente da vedere dal vivo, i Beat on rotten woods suoneranno per il release party del disco il prossimo 5 marzo al Loft di Via Economo a Trieste.
Per l’occasione i Borw saranno presenti in diretta radiofonica a RadioCityTrieste, sabato primo febbraio alle ore 14.00, ospiti de Il Geco per la sua trasmissione Fronte del Palco.

di Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Paola Erre

Beat on rotten woods – LINK UTILI

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Email – borwofficial@gmail.com

Bandcamp

Canale Youtube ufficiale   (contenente anche i video clip di Shining People e Spaces)

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TRIESTE – Non è facile che dalle nostre parti ci sia la possibilità di assistere a serate come quella andata in scena sabato scorso al Miela ma, purtroppo, non siamo abituati a questo genere di eventi.
Per fortuna, però,  il Teatro Miela ha sempre delle belle cose in cartellone, soprattutto quest’anno in occasione del suo trentennale e, quindi, per poter festeggiare in modo adeguato la ricorrenza, l’organizzazione ha ben pensato, cosa che comunque fa ogni anno, di curare la scelta degli artisti da proporre in modo da soddisfare ogni genere di pubblico.
Ed ecco che, come prima serata (rientrante nella rassegna Miela Music-Live), arriva direttamente da Vienna Richard Dorfmeister, un’ artista che certamente non ha bisogno di presentazioni.
Dopo un doveroso e buon set triestino di riscaldamento a cura di Jazza/Electrosahcer durato circa un’ora, il professore è pronto a salire in cattedra per impartire una di quelle lezioni musicali a suon di bit che difficilmente si possono dimenticare.Un autentico evento di richiamo, organizzato come party di inaugurazione della trentunesima edizione del Trieste Film Festival, ospitato per l’occasione nel teatro posto sulle rive cittadine, per la prima assoluta in città di questo guru del genere.
L’esibizione proposta da Dorfmeister, si è sviluppata in un interessante set di “dancefloor oriented”, in equilibrio perfetto tra raffinate atmosfere elettroniche e musica “colta”, eseguita in solitaria questa volta, e non assieme al vecchio compagno di avventure Peter Kruder.
I due, sin dai primi anni ’90, hanno rivisto le regole del gioco segnando il sentiero di nuove sonorità, diventando un autentico punto di riferimento per gli amanti del genere, remixando brani di nomi famosi della scena Rock Pop mondiale, mentre risale al 1993 la fondazione della nota etichetta G-Stone Recordings della premiata ditta Kruder & Dorfmeister appunto.

La serata sembra non voler finire mai, il numeroso pubblico apprezza e dall’alto del palco il nostro incantatore ricambia il calore del pubblico con un esibizione che si conclude dopo quasi tre ore, durante le quali si sono potute ascoltare diverse influenze musicali.
Non c’è male, quindi, come inizio dei festeggiamenti per il terzo decennale del teatro Miela, e sicuramente ne vederemo (e sentiremo) delle belle.
Intanto sono in arrivo i Les Négresses Vertes sabato 15 febbraio e, a seguire, tanti altri ancora.
Programma completo sul sito del teatro www.miela.it.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

UDINE – In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole aumento di apparizioni sulla scena da parte di tribute band e spettacoli celebrativi.
Non credo sia il caso di parlare di fenomeno, ma certamente questa proposta si è fatta spazio in modo sempre più evidente entrando nel giro degli eventi e riempiendo le piazze.
La storia delle tribute band, ad ogni modo, è roba vecchia, che comunque, poco più di dieci anni fa, ha iniziato a bollire in pentola, dopo altrettanti anni di esistenza.
Chiaramente questi spettacoli nascono per volontà e desiderio di appassionati che vogliono riproporli il più fedelmente possibile; spettacoli celebri che oramai potrebbero ritornare in vita solamente grazie alle cronache. Inutile stupirsi, quindi, se la risposta da parte del pubblico sia notevole.
Al contrario di tante altre band tributo, la storia dei The Musical Box inizia in Canada, a Montreal, un quarto di secolo fa, per riproporre uno dei più grossi miti del Progressive mondiale, quello dei britannici Genesis e la scelta del nome, come da tradizione, cade sul titolo di uno dei brani più famosi della band.Il bersaglio viene centrato in pieno e la storia di questa tribute band è fatta di continui tour mondiali sempre nuovi e fedeli agli originali, dove musica, effetti, suoni e costumi regalano emozioni legate al primo periodo della band originale.
I The Musical Box, non per nulla, sono l’unica band tributo riconosciuta dai Genesis, impegnata in continue tournée che ogni volta riscuotono un notevole interesse anche nel nostro paese.
E così, con questa nuova avventura dal titolo A Genesis Extravaganza vol. 2, per la prima volta fanno tappa nella nostra regione, con questo concerto nel capoluogo friulano al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, saggiamente organizzato da Azalea per la felicità degli appassionati e dei nostalgici.
In due ore e mezza di spettacolo, diviso in due parti (durante la pausa oltre al cambio palco sono stati regolati i volumi della voce che hanno decisamente fatto la differenza), i canadesi emuli dei nostri eroi hanno lasciato a bocca aperta il pubblico che in religioso silenzio ha seguito l’intera esibizione gustandosi una fedele riproposizione di quanto accadeva negli anni ’70, regalando un autentico ed emozionante salto nel passato.
Chissà in quanti tra i presenti avranno avuto la possibilità di vedere allora i veri Genesis e chissà in quale luogo. Chissà in quanti avranno ancora vivo il ricordo di quel concerto sfumato a

Trieste al Dancing Paradiso l’8 aprile del 1972, quando band e pubblico trovarono chiuse le porte del locale per motivi di ordine pubblico.
Ricordi di un tempo che saranno riemersi durante tutto lo spettacolo, con le esecuzioni dei sedici brani, dei quali ricordiamo The cinema show, Stagnation, Dance on a volcano, Down and out, Los endos  e, ovviamente, The musical box posto a chiusura del secondo atto.
L’unico neo, un solo travestimento portato in scena dal cantante Denis Gagnè, presentando all’impaziente pubblico la donna volpe che appare sulla copertina del disco Foxtrot del 1972.
A parte questo, però, nessuno sarà ritornato a casa deluso.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Pietro Rizzato

© Simone Di Luca

MAJANO – Quest’anno le condizioni meteo hanno veramente ostacolato gli spettacoli e i concerti all’aperto. Tanti gli eventi annullati, molti quelli iniziati dopo ore di interminabili attese che smettesse di piovere oppure spettacoli in cui ci si godeva solo in parte la serata in quanto gli occhi erano sempre rivolti al cielo.
E poi ci sono stati i concerti posticipati all’ultimo momento come lo è stato quello di Calcutta a Majano, riprogrammato per la settimana successiva.
Considerando il cambio di programma, l’artista laziale è stato il terzo dei quattro nomi saggiamente scelti dall’organizazione professionale di Azalea per questo mini festival andato in scena presso la 59° edizione della rassegna enogastronomica e culturale della cittadina friulana (gli artisti inseriti in cartellone sono stati The Darkness, Jethro Tull e i Pink Sonic che chiuderanno la rassegna il 10 agosto).Ma veniamo al concerto, questo spettacolo che tanto è stato atteso, un vero evento che ha avuto come protagonista Calcutta, autentico fenomeno della scena indipendente di casa nostra che ha fatto breccia sia nei cuori del pubblico che della critica.
Ma chi è questo Calcutta il cui nome d’arte stona per essere un musicista? Chi è questo ragazzo che veste una felpa, porta la barba e indossa un cappellino sopra la zazzera, e che potrebbe ricordare di più il garzone dell’ortofrutta sotto casa, ma in realtà scuote sentimenti e sensazioni con le sue canzoni?
Edoardo D’Erme, questo il suo nome all’anagrafe di Latina dal 1989, inizia la sua storia sette anni fa debuttando con Forse… che cattura l’attenzione e pone le basi di quello che sarà il riconoscimento del pubblico giovane, e non solo, come si è potuto vedere al concerto di Majano.
Poi nel 2015 arriva Mainstream, secondo capitolo con il quale il nostro irrompe in tutti i circuiti con il singolo Oroscopo, una piacevole suite notturna come piace a me definirla.
Tutte le sue canzoni le sento notturne, perché le trovo perfette per essere ascoltate di notte, quando a casa ci si lascia andare senza pericolo alcuno di venir disturbati. Calcutta sorprende, affascina e intriga come tutta la nuova scena italiana dei cantautori, generazione di artisti che ai più anziani e puritani non riesce ad andare giù, anche se non vedo spiragli possibili per fare paragoni e tirare le somme.
Calcutta è un artista giovane e come tale si esprime e si rivolge al pubblico. Spiazzante è il potere evocativo delle sue melodie capaci di creare situazioni perfettamente nitide alla mente dell’ascoltatore, dove malinconia e romanticismo presenti nei testi propongono situazioni di vita in contesti urbani o di periferia che mi rimandano ad alcune desolazioni rappresentate nel film L’amico di famiglia di Sorrentino.


© Simone Di Luca
Gli undici musicisti saliti sul palco mi sembrano tanti per una serata così (senza contare i tecnici audio, luci e video che hanno allestito e gestito uno spettacolo davvero interessante), ma penso che la produzione abbia fiducia in questo nome e di conseguenza metta a disposizione una buona squadra, che forse è meglio chiamare team in riferimento al collettivo del cartone animato di Holly e Benji, serie omaggiata da Calcutta e la sua band indossando la maglia della New Team, squadra protagonista delle imprese del noto manga.
La scelta dei brani ovviamente include tutte le hit di maggior successo, ma c’è spazio anche per altri brani meno noti come Hubner (da Evergreen del 2018), dedicato al gran calciatore muggesano di metà anni ’90.
Ed a me, che sono della sua stessa zona, sembra veramente strano che il campanilismo di queste parti non abbia mai portato alla luce la storia di questa pregiata dedica.
C’è ancora della strada da fare per Calcutta, ma le basi sono buone e le collaborazioni con i colleghi più anziani (Elisa e Jovanotti), hanno già fatto capire che tutta la scena musicale italiana si è accorta di lui e del suo potenziale.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Simone Di Luca

 

UDINE – Al termine di ogni suo concerto ho sempre provato come una piacevole sensazione di essere avvolto in un comodo plaid, uno di quelli composti da tanti quadri colorati, quelli che oramai non si vedono più da anni.
In questo caso la differenza è che con la coperta non mi riscaldo,  ma mi ritrovo invece ad essere cullato da sensazioni ed emozioni che mi portano a fantasticare ed immaginare quanto la musica mi suggerisce.
Per giustificare questi stati d’animo basta ascoltare la voce di Loreena McKennitt e le melodie da lei intonate.
Dal debutto avvenuto con Elemental nel 1985, il percorso partito concettualmente dalla verde Irlanda (lei è di origini irlandesi e scozzesi), ha permesso al suo pubblico di fantasticare e viaggiare sino in terre esotiche molto lontane.
Ogni disco si è presentato pregno di sapori musicali, sfumature, atmosfere di ogni tipo e suoni amalgamati in modo da trasmettere palesi suggerimenti descrittivi per l’ascoltatore.Ma veniamo ora al concerto svoltosi nella serata conclusiva di Folkest (International Folk Festival), la nota rassegna che dopo ben undici anni di assenza ha ospitato nuovamente Loreena McKennitt nella suggestiva location del Castello di Udine per una serata che ha riservato due piacevoli sorprese.
La prima di queste è stata la formazione che è salita sul palco allestito nel piazzale del maniero rinascimentale, un inedito ensemble rispetto a quanto ci potevamo aspettare.
Una formazione ridotta rispetto alla coinvolgente carovana musicale delle altre occasioni.
Esclusi dai giochi ghironda e ammalianti percussioni etniche, oltre alla McKennitt e alla sua splendida e potente voce limpida che sembra non risentire del tempo che passa (suona anche pianoforte, fisarmonica e arpa celtica), troviamo gli storici collaboratori Brian Hughes ai plettri, Caroline Lavelle al violoncello, voce e flauto e Hugh Marsh al violino, oltre al contrabasso di Dudley Philips e la sezione ritmica di Robert Brian.
La seconda sorpresa invece risulta essere la scelta dei brani suonati in questo tour, una piacevole scaletta che si svela man mano che il concerto si svolge.
Davanti a millecinquecento spettatori, per due ore filate di spettacolo, i venti brani in programma sono tutti storici pezzi della sua nutrita discografia.
Si parte con The mystic’s dream dal disco The mask and mirror del 1994, album dal quale vengono riproposti il maggior numero di brani, si passa poi per The Visit del 1989 (All souls night e Bonny Portmore), The Book of secrets del 1997 (Marco Polo e Dante’s prayer per la chiusura), An ancient muse del 2006 (The gate of Istanbul), sino al protagonista discografico attuale che dà il nome al presente tour partito in marzo, ovvero Lost Souls pubblicato nel maggio 2018 e dal quale vengono riproposti in ordine di esecuzione Ages past, Ages hence, Spanish guitars and night plazas, Manx Ayre e l’omonima Lost souls.
La quarantunesima edizione di Folkest non si poteva chiudere in modo migliore.
Dopo un mese di eventi sparsi in ventidue comuni che hanno ospitato cinquanta spettacoli per la bella cifra di dodicimila spettatori, una serata all’insegna della musica irlandese assieme a Loreena McKennitt, musa per eccellenza della musica celtica, era l’evento ideale.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Walter Menegaldo

La sensazione che si prova già dal primo ascolto di Nuvole di passaggio, è quella di una piacevole riscoperta di emozioni e ricordi rimasti per troppo tempo nascosti dentro di noi. Tali elementi sono sì parte della nostra vita in quanto esperienze vissute e maturate durante il nostro cammino, ma purtroppo assimilate, digerite e di conseguenza messe da parte fino al giungere di un elemento di soccorso che inaspettatamente riporta a galla qualcosa di cui ci eravamo scordati.
Miriam Baruzza ha dato sfogo alla sua creatività e come un fiume in piena ha messo su carta i suoi pensieri, ne ha tracciato un sentiero musicale e con la voce ha dato vita a storie e personaggi che rivivono ora nelle dieci tracce di questo lavoro di debutto realizzato con la complicità del suo compagno artistico e di vita Alessandro Castorina e dei suoi fidi musici, una super ensemble che raggruppa svariati nomi noti della scena musicale triestina sotto il nome di Illirya (scelta non casuale proprio come l’antica regione adriatico-balcanica).Nuvole di passaggio (registrato da Edy Meola all’East Border Sound c/o Ass. Cul. Numerouno – arrangiamenti originali di Edy Meola, Mauro Berardi e Illirya) è un insieme di bellissime ballate in cui diversi personaggi si ritagliano uno spazio sempre in un contesto differente e suggestivo, raccontati in forma di storie popolari.
Ecco quindi che troviamo Maria la giovane bella del paese che dal suo bancone del mercato dove lavora regali sorrisi, amore e buon umore a tutti con le sue canzoni.
Oppure Il bimbo e il pellegrino, storia di due personalità diverse che si incontrano incrociando i loro sguardi, e tra sogni e ricordi stabiliscono un legame profondo.
Poi ancora La bella della montagna, sogno d’amore per i giovani di un paese che vorrebbero essere suoi pretendenti e intanto cantano di lei e del suo leggendario sentimento che rapisce e dona felicità, e La bambina di sabbia bellissimo brano in cui melodie di forte richiamo mediorientale, musiche e sonorità Progressive e anni ’70, audacemente ipnotizzano l’ascoltatore.
Difficile scegliere il brano migliore tra tutte queste gemme. Se dovessimo estrarne uno solamente per trainare la carovana, allora potrebbero giocarsela addirittura in cinque.
Si tratta di un disco alla portata di tutti, che facilmente cattura l’attenzione. Abbiamo davanti un arcobaleno che si mostra in tutta la sua bellezza, un lavoro dall’ampio respiro locale, dove leggende e musiche si uniscono come tanti tasselli per creare un colorato mosaico che non stenteremo a comprendere e ad apprezzare sin dal primo ascolto e che ci svelerà infinte sfumature.
Nuvole di passaggio è stato presentato ufficialmente in anteprima lo scorso febbraio al teatro di San Giovanni a Trieste, in anticipo rispetto alla sua recente pubblicazione.
Ora verrà portato in tour per essere suonato dal vivo e proposto interamente nella sua bellezza, anche perché Nuvole di passaggio non è solamente un disco a cui segue un concerto (è un progetto artistico concepito come un incontro ed unione tra musica, parola e danza in quanto forme creative ed espressive che fuse assieme offrono un’esperienza emotiva più intensa), ma vuole essere qualcosa di più, un racconto in musica che tramite immagini e narrazione ci offre la possibilità di visitare un immenso cielo limpido dove le nuvole sono gli incontri vissuti e le sensazioni provate nel corso della vita.

di Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste
foto tratte dell’archivio IlliryaMusic
illiryamusic@gmail.com
Facebook: Illiryamusic

PALMANOVA – Per tutto il pomeriggio si era temuto che il potente acquazzone che stava investendo la Regione avesse potuto guastare questa festa di inizio estate nella città stellata.
Un evento dal valore importante, che non solo doveva dare il via alla bella stagione che quest’anno si è fatta attendere, ma che doveva battezzare anche la rassegna dal titolo Estate di Stelle a Palmanova. E così è stato. Questo spettacolo si doveva fare e s’è fatto.
Una Piazza Grande gremita di spettatori ha applaudito per due ore il giovane trio de Il Volo, primo dei tre appuntamenti in programma in questa splendida cornice che ben si presta ad eventi di questo tipo.Artisti in splendida forma hanno reso entusiasta un pubblico variegato e proveniente anche dall’Austria e da oltre Manica come scopriamo dagli amichevoli dialoghi dei cantanti con gli spettatori tra un brano e l’altro.
Dieci anni sono passati oramai da quando Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble (questi i nomi dei tre componenti, tutti nati nella prima metà degli anni ’90), hanno dato il via a questa storia fatta di alti e bassi (come dicono loro), ringraziando l’affezionato pubblico, senza il quale non sarebbero arrivati sino a qui.
Una convivenza fatta anche da difficoltà perché come tutti i rapporti bisogna anche affrontare momenti non facili.
Tre personalità diverse quindi a costituire questa mini brigata melodica composta da tre timbri vocali differenti, uno per ogni ruolo, incastonato alla perfezione come un diamante sull’anello.
Due dozzine di brani previsti in scaletta con tributi a celebri nomi della scena musicale italiana e internazionale. Il Volo, oramai consolidati a livello mondiale come ambasciatori della splendida tradizione vocale italiana, hanno portato in Regione questo nuovo spettacolo dal titolo Musica Tour 2019, che prende il nome dal disco omonimo pubblicato lo scorso febbraio.
Si parte con Il mondo (Jimmy Fontana) e si prosegue con My way (Frank Sinatra), Maria (dal musical West side story), Arrivederci Roma (cantata sia da Claudio Villa che Renato Rascel) e People (Barbra Streisand) solo per citarne alcuni, anche se i momenti migliori sono stati  No puede ser e Core ngrato con i quali hanno catturato il cuore del pubblico.
Verso la fine l’internazionale Nel blu, dipinto di blu (Volare) e in chiusura Grande amore, che per l’edizione del Festival di Sanremo del 2015 era valso loro il pregiato titolo della rassegna canora italiana.
Non c’è che dire, una grande serata. Ma lo spettacolo non è finito perché per la rassegna Estate di Stelle a Palmanova, organizzata da Azalea Promotion, sempre attenta ad artisti di qualità da proporre ad un pubblico regionale e non solo, continua in luglio per altri due appuntamenti con i King Crimson sabato 6 e Antonello Venditti giovedì 11.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Simone Di Luca