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In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – OLIMPIA MILANO: 84-78
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 22, Reyes n.e., Deangeli n.e., Uthoff, Ruzzier 5, Campogrande n.e., Candussi 5, Brown 18, Brooks 14, Johnson 1, Valentine 19.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Olimpia Milano: Dimitrijevic 2, Bortolani, Tonut 4, Bolmaro 11, LeDay 18, Ricci 3, Flaccadori, Diop 2, Caruso 2, Shields 12, Nebo 6, Mirotic 18.
Allenatore: Ettore Messina Assistenti: Mario Fioretti, Milan Tomic, Alberto Seravalli.
Arbitri: Giovannetti, Valzani, Borgo.

TRIESTE – Si fa davvero fatica a credere a quello che accade, ed accadrà, sul rinnovato parquet del palazzo di via Flavia.
Cinque mesi esatti dopo sconfitta casalinga contro Milano (sì, ma era l’Urania…) la Pallacanestro Trieste esalta, si esalta, diverte e si diverte vincendo con assoluto ed incontrovertibile merito contro i campioni d’Italia dell’Olimpia.
E dire che a leggere nel prepartita la formazione scelta da Ettore Messina per inaugurare il campionato, erano pure svanite le pie illusioni sulle possibilità di un turnover almeno parziale finalizzato a preservare i top players in vista dell’esordio in Eurolega a Montecarlo mercoledì prossimo.
Mirotic e Bolmaro, Nebo e Shields, Leday, Dimitrijevic, Ricci e Tonut tutti nella lista dei disponibili per affrontare Trieste, segno del grande rispetto per l’impegno da parte del coach siciliano dell’Olimpia. Trieste, come previsto, recupera Colbey Ross e Markel Brown (che questa partita probabilmente l’avrebbero giocata anche su una gamba sola) ma rinuncia ancora una volta ad un Justin Reyes che tutti si affannano a definire fisicamente a posto ed in perfetta forma ma che finora è sceso in campo per soli 14 minuti il 31 agosto.Il Palatrieste è una polveriera vestita a festa. Colpo d’occhio fantastico, coreografia da brividi (con anche il commovente omaggio a Sveva, cinque anni dopo il suo volo in cielo), del resto il futuro inizia oggi e bisogna dargli il miglior benvenuto possibile. L’atmosfera è elettrica e c’è voglia di festeggiare, ma ovviamente anche la speranza di assistere perlomeno ad una prestazione volonterosa e battagliera dei ragazzi di casa contro una corazzata apparentemente priva di punti deboli, preparati a rendere le armi con onore davanti alle preponderanti forze nemiche. Sono sufficienti un paio di minuti per comprendere, prima di tutto, che la Serie A dista almeno tre categorie dalla serie cadetta per fisicità, velocità, talento, spettacolo. E’ ovviamente un’osservazione pleonastica, ma l’impressione, ogni volta che torniamo ad assaporare la Serie A, è distintamente quella di assistere ad un altro sport rispetto alla A2. La seconda impressione, decisamente meno scontata, è che la Pallacanestro Trieste allestita durante l’estate dal trio Arcieri-Christian-Mattiasich sia una macchina divertente e completa, sfacciata e coraggiosa, che si diverte a giocare assieme e non disdegna di affidarsi all’estro incontenibile di tre esterni destinati ad esaltare il climax del red wall: Colbey Ross, Markel Brown e Denzel Valentine hanno il senso dello show, prima ancora del talento cestistico ormai assodato. Parlano fra loro, si innescano, mandano al bar i celebrati avversari in uno contro uno, inventano canestri improbabili e non si tirano certo indietro quando i palloni iniziano a pesare una tonnellata. Colbey Ross, oltretutto, infila nel primo tempo la prima Tripla de Tabela della stagione ricordando a tutti che riparte anche l’iniziativa “Triple di Cuore”, che tanto successo ha avuto nella passata stagione. I tre solisti sono però sostenuti da un’orchestra di prim’ordine, che se anche stecca qualche nota in attacco rimedia con una somma infinita di piccoli e piccolissimi particolari eseguiti talmente bene da rivelarsi, alla fine, l’arma della vittoria. Jarrod Uthoff, ad esempio, non lascia certo scalfire il suo impenetrabile aplomb dallo zero su sette al tiro per lui inconsueto: viene lasciato sul parquet più di 35 minuti ed il suo sacrificio difensivo su Mirotic, le palle recuperate, i rimbalzi, i blocchi e le stoppate valgono due punti in classifica tanto quanto i 60 punti complessivi (su 84) realizzati dai tre tenori. Uthoff è affiancato nel suo compito sottotraccia da un altro degli assi nella manica a disposizione di coach Christian, un giocatore che sembra un patrimonio ridonato alla pallacanestro italiana per entusiasmo, voglia di divertirsi e classe cristallina: Jeffrey Brooks è un piacere per gli occhi degli esteti del basket per la sua pulizia tecnica, ma lo è anche per i suoi atteggiamenti istrionici capaci di esaltare anche il compassato pubblico delle prime file del parterre. Per l’ex Reyer alla fine il tabellino recita 14 punti con il 100% al tiro da due e da tre, due rimbalzi ed un assist. Vale tanto oro quanto pesa.
Il rovescio della medaglia, come previsto, è la brevità delle rotazioni, accentuata dall’assenza di Reyes. Christian decide di affidarsi, dalla panchina, solo a Ruzzier e Candussi, tenendo seduti per 40 minuti Bossi, Campogrande e Deangeli. Vedremo con il passare delle giornate quanto l’assenza di backup credibili possa pesare nelle gambe degli otto super utilizzati, ma per il momento basta ed avanza anche così. Ruzzier, che contro Bolmaro, Dimitrijevic e Shields paga ovviamente dal punto di vista fisico, non produce nulla in attacco se non una fondamentale tripla dall’angolo sulla sirena del terzo quarto. In compenso, dà preziosi minuti di fiato a Colbey Ross senza abbattere l’efficienza del quintetto, confermandosi playmaker potenzialmente titolare. E poi può giocare anche assieme a Ross, come accade quando Christian decide di affidarsi ad un quintetto piccolo ed agile. Anche Francesco Candussi, che contro Nebo è prevedibilmente intimidito sotto il ferro, come di consueto spiega la sua arma in più rispetto alla media dei lunghi di pari stazza: la sua pericolosità dal perimetro, oltre a permettergli di piazzare triple di incalcolabile importanza, ha l’effetto di attrarre fuori dal pitturato i big man avversari creando praterie per le scorribande dei tre tenori. Da rivedere, invece, Jayce Johnson, anche lui sovrastato fisicamente in attacco da Nebo, Mirotic e Leday, che lo brutalizzano anche a rimbalzo. Solo un punto e tre carambole in 15 minuti per lui, in un match che non si prestava ad essere troppo morbido per il suo esordio in Europa. Di buono c’è che non si affronterà sempre Milano e che ha mostrato ampi margini per migliorare, soprattutto nell’intesa con i piccoli in grado di innescarlo in transizione o nel pick and roll, specie se eseguito velocemente. Da rivedere, invece, la sua attitudine in post basso, posizione dalla quale preferisce di gran lunga cercare l’extrapass sul perimetro o a favore del compagno che taglia, piuttosto che andare direttamente a canestro.
Trieste parte fortissimo sulle ali dell’entusiasmo, accumula anche cinque punti di vantaggio, poi subisce il ritorno di una Milano che, dal canto suo, non pare dannarsi particolarmente l’anima nella fase iniziale del match. Del resto l’Olimpia è un diesel, capace di attendere sorniona che le fiammate degli avversari si esauriscano assieme alle loro energie per uscire dal guscio con intensità difensiva e devastante velocità in transizione capaci in pochissimo tempo di sovvertire qualunque gap, come del resto avvenuto solo una settimana fa nella finale di Supercoppa contro la Virtus. Nel secondo quarto la squadra di Messina raggiunge anche i sette punti di vantaggio, sembrando padrona dell’inerzia della partita nell’unico momento di rottura offensiva biancorossa. Ma è anche troppo poco concentrata, e la distrazione la porta a perdere un paio di palloni (12 turnovers nel primo tempo, 17 in tutto, davvero troppi per poter pensare di vincere in trasferta) capitalizzati con gli interessi dagli indemoniati Brown e Ross. Da quel momento Trieste non mollerà mai la presa, e non permetterà mai a Milano di avvicinarsi a meno di due possessi, riuscendo anzi, addirittura, ad allargare il gap ben oltre la doppia cifra. L’Olimpia le prova tutte, con le buone e le cattive, inserisce Flaccadori e Caruso (fatti risedere in fretta e furia, per non smentirsi), eleva a dismisura la fisicità e la pressione difensiva, manda in confusione l’attacco triestino che sbanda paurosamente ma non deraglia mai, trovando canestri frutto più del talento smisurato dei singoli che di capacità di costruire giochi organizzati, ma anche gettandosi senza paura su ogni pallone vagante: sbucciarsi le ginocchia per questi professionisti così clamorosamente motivati non è certo un problema. Non che sfruttare il talento dei singoli quando serve costituisca un difetto, anzi: la squadra di Christian di quest’anno è esattamente questa cosa qui, una macchina imprevedibile che può basarsi sulle individualità esattamente come nel collettivo, leggendo alla perfezione le situazioni. Negli ultimi cinque minuti, peraltro, Trieste restituisce colpo su colpo anche dal punto di vista difensivo, impedendo canestri facili, sporcando ogni linea di passaggio, stoppando tiri apparentemente instoppabili da tre e tornando anche a conquistare quei rimbalzi difensivi che avevano permesso a Milano di tenersi in scia per tutto l’incontro grazie a seconde e terze chances. L’Olimpia perde fiducia e capisce di aver perso accettando la sconfitta, senza nemmeno tentare il tutto per tutto negli ultimi secondi. Merito triestino riconosciuto anche con grande sportività da Ettore Messina in sala stampa. Ed ora c’è ancora qualche giorno dedicato ai ritardatari della campagna abbonamenti che, c’è da giurarci, registrerà un deciso arrotondamento prima della prossima partita casalinga con Reggio Emilia.

Roba da darsi un pizzicotto per sicurezza…..

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images

In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
TRIESTE – Dai botti di mercato alla bomba societaria è un attimo: quando tutti, stufi di basket chiacchierato e del sonnacchioso caldo agostano, attendevano solo l’inizio della preparazione, con la consueta curiosità di vedere all’opera i nuovi arrivati e l’impazienza di iniziare la nuova avventura in Serie A, primo vero atto del tanto sbandierato progetto pluriennale con il quale si erano presentati i soci di CSG ed in particolare l’ormai ex presidente Richard De Meo, arriva del tutto imprevista l’uscita di scena dell’intero gruppo di investitori che possedevano il pacchetto azionario di CSG, a sua volta controllante del 100% di CSG Italia la quale, infine, possiede il 99% delle quote della Pallacanestro Trieste.
CSG e CSGI rimangono, oggi come ieri, proprietarie del club, però tutte le loro quote sono state acquisite dall’ultimo socio accolto nella compagine, quel Paul Matiasic entrato in corso d’opera nell’operazione e che ora ne diventa anche l’unico protagonista.
La partecipazione dell’avvocato californiano di origini istriane/friulane alla Summer League assieme a Michael Arcieri e Jamion Christian, assieme al fatto che era già da aprile titolare della percentuale maggioritaria di quote della società, può essere letto, a posteriori, come una labile avvisaglia di ciò che stava maturando, ma la repentinità dell’operazione che di fatto mette fine al progetto per come era stato prospettato, oltretutto subito dopo aver riconquistato il palcoscenico per il quale era stato concepito, lascia tutti sorpresi e a dir poco sconcertati. La qualità del mercato ed il livello della squadra allestita, evidentemente con l’avvallo del nuovo presidente (allora ancora in pectore) lancia segnali confortanti per il presente più che per il futuro: per quello, ci sarà modo di ascoltare le parole del proprietario, al di là dei proclami preconfezionati nei comunicati della prima ora, e soprattutto la riprova dei fatti con il passare dei mesi.
Le capacità di attrarre capitali da investire nello sport, mission di CSG, era l’idea iniziale degli ex studenti di Wharton, che evidentemente hanno usato Trieste come incubatore del loro business.
Da chi, o che cosa, siano stati convinti a desistere dopo solo pochi mesi, al netto di una inattesa retrocessione cui si è peraltro posto rimedio in tempi rapidissimi, non è dato sapere ed è una informazione che, nella sua interezza, sarà ben difficile da ottenere, sebbene il fatto che anche la miglior business school d’America non fornisca in dote il sangue freddo necessario per affrontare nel mondo reale la copertura di stagioni in forte perdita economica, versando dollari veri, potrebbe aver avuto la sua influenza.
Di certo, l’unico proprietario dovrà far fronte da solo (ed al momento senza un main sponsor) ad una gestione prevedibilmente deficitaria dal punto di vista finanziario, e pur considerando le presumibilmente facoltose possibilità economiche di un potente avvocato californiano, alla guida anche di altre iniziative imprenditoriali, non è plausibile che possa farsi carico da solo di budget milionari da spendere nell’estremo lembo orientale di un paese lontano 10.000 chilometri dall’epicentro dei suoi interessi economici, anche se vicinissimo al suo cuore ed alla sua eredita storica.
Il comunicato societario, al di là dei ringraziamenti e dell’entusiasmo di facciata ed una generica assicurazione sul fatto che i proprietari uscenti rimarranno investitori nel club (senza però spiegare a che titolo), non chiarisce tale cruciale aspetto, che però sarà la chiave di volta per il basket di vertice triestino.
Di buono c’è che Matiasic sia legato a doppio filo a questa terra grazie alle origini istriane e pordenonesi dei suoi nonni, che l’orizzonte del progetto di CSG ora sia dichiaratamente focalizzato esclusivamente sulla pallacanestro triestina, che l’avvocato di San Francisco non possa non aver stilato un business plan prudenziale (e dunque sia ben conscio dell’impegno economico che lo aspetta e ciò nonostante non abbia desistito), e, particolare da non sottovalutare, che venga garantita continuità se non altro dal punto di vista sportivo con la permanenza di Michael Arcieri, che oltre a rimanere GM siederà anche in consiglio di amministrazione assieme allo stesso presidente ed a Connor Barwin, unico esponente della vecchia proprietà a non uscire di scena, almeno dal punto di vista gestionale.
Le precedenti esperienze del club triestino guidato dalle cosiddette “proprietà forti”, concentrate nelle mani di singoli imprenditori, da Bepi Stefanel a Frank Garza e Luigi Scavone, suscitano qualche brivido sulla schiena di chi segue da qualche anno le alterne vicende del basket triestino.
Ora però la missione della città è quella di sostenere in tutto e per tutto il nuovo presidente, che merita senza riserve la fiducia e l’incoraggiamento di tutti, la squadra e la società, a partire da una risposta importante alla campagna abbonamenti, partita in modo entusiastico ma ancora tiepida in termini numerici.
Il sostegno della piazza non può che creare un circolo virtuoso che potrebbe fungere da calamita per un nuovo allargamento della compagine societaria, così come la nazionalità della proprietà e della conduzione del settore sportivo è stata per i giocatori americani di prima fascia che hanno accettato di buon grado di sposare la missione biancorossa.

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: tutte le immagini sono tratte dal profilo Facebook ufficiale della Pallacanestro Trieste