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In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
NUTRIBULLET TREVISO – PALLACANESTRO TRIESTE: 95-100
Nutribullet Treviso: Bowman 8, Harrison (k)16, Torresani 3, Mascolo 14, Martin n.e., Mazzola, Mezzanotte 2, Olisevicius 26, Paulicap n.e., Macura 9, Alston 17.
Allenatore: Francesco Vitucci. Assistenti: Alberto Morea, Mattia Consoli.
Pallacanestro Trieste: Ross 30, Uthoff 13, Brown 18, Ruzzier 9, Brooks 6, Deangeli (k), Johnson 10, Reyes 6, Valentine n.e., Bossi n.e., Candussi 5, Campogrande 3.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

TREVISO – Può un gruppo rock portare a termine un concerto mandando in visibilio il suo pubblico anche senza il chitarrista? A quanto pare, può.
Trieste, per la quinta volta in cinque partite, scende in campo incompleta: Ross e Brooks, che dovevano essere in dubbio, alla fine si rivelano due fra i principali protagonisti della vendemmia di Prosecco, in compenso a rimanere – non del tutto inaspettatamente – seduto per 40 minuti (dopo aver svolto regolarmente il riscaldamento con i compagni) stavolta è Denzel Valentine.
Ma, ancora una volta, il gruppo riesce ad assorbire il colpo e a non snaturare in alcun modo la sua filosofia di pallacanestro, fatta di grande velocità, infinite soluzioni offensive, solidità mentale e perfetto equilibrio fra individualità e lavoro di gruppo.
Il rovescio della medaglia, probabilmente connaturato a questo tipo di basket, è costituito dalla marea di palle perse (22 in tutto, 9 solo dal top scorer Colbey Ross) che non consentono di uccidere la partita neanche con l’inerzia saldamente in mano, concedendo rapidi contropiede o conclusioni solitarie da oltre l’arco.
Un aspetto che sta divenendo una pericolosa costante, una costante sulla quale si potrà senz’altro lavorare ma che difficilmente migliorerà in modo significativo nel corso della stagione proprio perché scarto di lavorazione di una pallacanestro giocata costantemente a 100 all’ora.
Un’altra costante in questo primo scorcio di campionato è il predominio a rimbalzo, un predominio che Trieste non concentra esclusivamente nelle mani dei lunghi di ruolo ma distribuisce in modo uniforme nel roster, segno che la mentalità sia quella di gettarsi sempre e comunque a raccogliere i palloni sputati dal ferro: a Treviso finisce 29-13, un predominio schiacciante che non può evidentemente essere spiegato esclusivamente con l’assenza di Paulicap sotto canestro.
A proposito di predominio nel pitturato: conforta la crescita costante di Jayce Johnson, sempre più consapevole e convinto, agonisticamente più feroce e dunque più credibile agli occhi dei compagni che ora lo coinvolgono maggiormente in attacco, innescandolo sul pick and roll o servendolo in movimento sul taglio in mezzo all’area.
Cresce anche l’intensità del gioco di Reyes, ancora lontano da uno stato di forma ottimale ma visibilmente in grande progresso dal punto di vista fisico: per un giocatore che fa dell’esuberanza atletica il suo punto di forza, il recupero del ritmo partita è forse l’aspetto più importante, una volta recuperato quello la squadra di Christian disporrà di una addizione di lusso.
Addizione quantomai fondamentale alla luce dello scarsissimo impiego, a dire la verità quasi nullo, del pacchetto degli italiani (Candussi e soprattutto Ruzzier esclusi), che rende ancora corte le rotazioni, specie in assenza di pedine americane fondamentali.
Sono probabilmente più dei 300 dichiarati i tifosi triestini che seguono la squadra nella Marca, segnale piuttosto indicativo su che tipo di entusiasmo susciti questa squadra per la sua mentalità vincente, per la sua “cazzimma”, per lo spirito sempre in equilibrio fra combattimento e divertimento.
L’accoglienza del Palaverde è, come di consueto, non particolarmente amichevole, sebbene gli slogan offensivi vintage, triti e ritriti, risultino particolarmente patetici e fuori dal tempo.
La curva triestina, peraltro, risponde con una coreografia che celebra i sette decenni dal ritorno all’Italia, mettendo fine al confronto a distanza con un evidente KO tecnico.Ne consegue un clima da corrida sugli spalti ed anche in campo, in cui a risultare maggiormente penalizzati risultano proprio quelli che da questo derby avevano più da perdere: i giocatori di Treviso sono nervosissimi, arrivano addirittura ad insultarsi a vicenda, accolgono ogni errore, ogni fischio arbitrale, finanche ogni cambio non gradito come un’offesa personale, entrando in un loop autodistruttivo che alla fine ne causa il definitivo deragliamento.
Ky Bowman e Deangelo Harrison, dieci falli in due, escono nel momento più importante con il punteggio teoricamente ancora in bilico, e da quel momento, a tre minuti dal termine, per Treviso si spegne definitivamente la luce, anche perchè Trieste inizia razionalmente a giocare con il cronometro, al netto di un paio di nefandezze (palle perse e rimesse dal fondo nelle mani degli avversari) che per fortuna risultano indolori.
I biancorossi di Jamion Christian, in questo clima, riescono dal canto loro a metabolizzare la pressione ambientale trasformandola in energia positiva: rimangono freddi e concentrati, cercano di ragionare in ogni situazione, si distraggono troppo spesso in difesa -i primi due quarti con media di 28,5 punti incassati sono eccessivi anche in trasferta- ma tendenzialmente eseguono il piano partita in modo letale quando diventa indispensabile mantenere il sangue freddo.
In assenza di Valentine manca il tocco di imprevedibilità e creatività all’attacco triestino, ma il roster di Trieste può vantare due giocatori che magari non offrono prestazioni appariscenti, quasi mai accumulano bottini di punti che li mette in evidenza al primo colpo d’occhio, ma che invece valgono quanto l’oro zecchino: Jarrod Uthoff non lascia passare un incontro senza sorprendere chiunque lo veda giocare sul fatto che non sia stato notato prima dai top team europei.
E’ l’unico che mantiene aggressività costante in difesa (altre due stoppate per lui, oltretutto piazzate nel finale), soffre l’inverosimile solo quando coach Christian rinuncia ai due numeri 5 per affidarsi solo a lui e Brooks per presidiare il pitturato (almeno stavolta il reparto lunghi avversario deve rinunciare al centro titolare, assente per infortunio), ma piazza due bombe in rapida sequenza capaci di abbattere le certezze di Treviso proprio quando la squadra di casa, nel terzo quarto, stava accumulando un vantaggio non ancora decisivo ma capace di innescare pericolosamente il Palaverde come una polveriera.
Uthoff somma tante piccole cose eseguite alla perfezione nei 32 minuti in campo, una somma che alla fine recita 23 di valutazione, la più alta dell’intera squadra. L’altro elemento imprescindibile è un Jeff Brooks alla quarta partita consecutiva senza errori dal campo, capace di imbrigliare definitivamente l’unico terminale offensivo trevigiano in grado di mantenere costante il suo rendimento, quell’Osvaldas Olisevicius che fino alla “cura Brooks” imperversava da ogni parte del campo. Il peso dell’assenza di Brooks domenica scorsa contro Reggio Emilia appare in tutta la sua evidenza al Palaverde: con lui in campo, il saldo plus/minus (cioè il risultato della “mini partita” giocata nei 24 minuti spesi sul parquet dall’ex Reyer) recita +15.
La partita vive di strappi e contro strappi, con Treviso che si illude ed illude il proprio pubblico con il solito inizio arrembante, nel quale accumula meritatamente un vantaggio che viaggia verso la doppia cifra (senza raggiungerla), prima che Trieste si scuota dal torpore e ricucia in un lampo il gap.
Da lì in poi, alla fine del primo quarto, la partita diventa spettacolare per lo spettatore neutrale, con gli attacchi che prevalgono nettamente sulle difese e vantaggi alternati ma mai, nemmeno illusoriamente, rassicuranti.
Ma è anche una sfida a chi mantiene più a lungo i nervi saldi, e come detto Treviso non ha la razionalità e la calma nel suo DNA: del resto i cavalli di razza come Bowman e, soprattutto un agitatissimo Harrison possono magari far vincere partite grazie a giocate dal tasso tecnico incalcolabile, ma sono difficilmente imbrigliabili in un disegno generale che cerchi di asservire le loro prestazioni al bene della squadra anziché risultare fine a sé stesso.
Dal canto loro, Colbey Ross e Markel Brown sono l’esatta antitesi: poker face a tratti irridente, concentrati e letali, calmi come un cobra prima di morderti. Ad iniettare saggezza ci pensano anche Brooks e Uthoff, il risultato, nonostante i ben 95 punti incassati, ne è la diretta conseguenza. Si finisce con Jamion Christian osannato ed abbracciato (proprio fisicamente) dalla curva.
Ci è voluto tempo, tanta resistenza, tanta pazienza reciproca, tantissima capacità e voglia di capirsi, tanta resilienza, per usare un termine caro a lui ed a Mike Arcieri, ma alla fine l’onestà intellettuale del coach è divenuta il suo tratto più apprezzato dalla piazza, che ora lo ha definitivamente adottato, e questa è una grande vittoria del club che va oltre la vittoria sul campo.
Il sabato della LBA non si è limitato al derby del Palaverde: Tortona si impone sul difficilissimo campo di Trapani (dando ulteriore valore alla vittoria di Trieste proprio a Casale due settimane fa), Milano, dopo i disastri di Eurolega, torna a vincere in campionato imponendo l’ennesimo stop ad una Napoli ancora ferma al palo, la Virtus vince a Cremona come da pronostico, e Brescia vince a Reggio Emilia confermandosi, assieme a Trento, la squadra forse più continua nel primo scorcio di stagione.
Domenica prossima si torna al PalaTrieste per affrontare una sfida contro Varese che assume molteplici motivi di interesse: Mike Arcieri contro un passato di non facile interpretazione (specie nel suo epilogo), tre protagonisti della stagione “degli immarcabili” ora sulla sponda triestina, il grande dubbio sulla legittimità di una salvezza “regalata” ai lombardi in cui a fare le spese fu proprio la squadra guidata dall’attuale assistente allenatore della OpenJobMetis Marco Legovich.
Una Varese che arriverà profondamente rivista, con il ritorno in corsa di Jaron Johnson e dell’ex Trieste Skylar Spencer (che nella famigerata stagione giocavano sui lati opposti della barricata). In compenso, quasi certamente, Varese rinuncerà a Nico Mannion.
Ma, indipendentemente da quelli che saranno gli avversari, Trieste giocherà la sua partita, con l’unica incognita sulla possibilità o meno di scendere in campo, per la priva volta dal 31 agosto, finalmente al completo.

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto profilo Facebook ufficiale Pallacanestro Trieste

In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – UNAHOTELS REGGIO EMILIA: 85-97
Pallacanestro Trieste: Bossi 4, Ross n.e., Reyes 7, Deangeli (k), Uthoff 24, Ruzzier 10, Campogrande, Candussi 3, Brown 11, Brooks n.e., Johnson 13, Valentine 13.  Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Reggio Emilia: Barford 12, Gallo n.e., Winston 28, Faye 13, Gombauld, Smith 9, Uglietti 2, Fainke n.e., Vitali 12, Grant (k) 7, Chillo 3, Chetham 11.
Allenatore: Dimitrios Priftis. Assistenti: Federico Fucà, Giuseppe Di Paolo.
Arbitri: Sahin, Galasso, Capotorto.

TRIESTE – Alla fine, vince l’influenza. Per carità, Reggio Emilia è una gran bella squadra, completa in ogni reparto, con un paio di individualità che la collocano ai limiti dell’eccellenza, e si impone con assoluto merito per aver saputo dosare le forze, ruotare gli uomini ed eseguire i giochi in attacco nel modo più adeguato al momento giusto approfittando delle difficoltà e degli errori triestini nella prima partita nella quale la squadra di Christian evidenzia sbavature difensive inedite e non riesce quasi mai ad imporre il suo gioco in attacco.
Però non si può certo ignorare il fatto che per un “mezzo” Justin Reyes in più nel motore Christian rinuncia a Colbey Ross (leggero risentimento ad un polpaccio per lui) e Jeffrey Brooks (vittima di uno stato influenzale in settimana), cui si aggiunge ad inizio ripresa anche Francesco Candussi uscito e non più rientrato all’apparenza a causa di un guaio muscolare alla gamba destra.
I biancorossi di casa hanno seriamente rischiato di dover rinunciare anche a Jarrod Uthoff per un malanno patito in settimana, ma l’impressione è quella che per intaccare la tempra dell’uomo dell’Iowa sia necessaria più una carabina che un virus.
I suoi 24 punti conditi da 11 rimbalzi, due stoppate ed una prestazione difensiva che lo ha visto fermare giocatori avversari in ogni ruolo, per un 34 di valutazione finale, è il commento più eloquente sulla sua determinazione.
Trieste, come del resto ampiamente dimostrato durante la pre season, è però perfettamente in grado di reagire con raziocinio a difficoltà ed assenze, riassestando le rotazioni e tirando fuori soluzioni nuove (e uomini della panchina) tenendo sempre alta l’intensità e l’atteggiamento aggressivo in ogni singola azione difensiva affidandosi magari maggiormente a qualcuna delle individualità “superstiti”.
L’impressione, però, è che contro Reggio Emilia le assenze siano state decise proprio in prossimità della palla a due -del resto sia Brooks che Ross avevano regolarmente svolto il riscaldamento- e che talune rotazioni siano state dettate più dall’improvvisazione sul momento che da un piano partita di emergenza.
Da aggiungere che finora in campionato Trieste ha fatto ruotare sette uomini e mezzo, e perciò ci si poteva attendere un principio di affaticamento generale, specie contro una squadra fisicamente debordante come Reggio Emilia.
Ciò nonostante, finché l’acido lattico concede alle gambe la massima reattività e di conseguenza al cervello la massima lucidità, la squadra di Jamion Christian riesce ad inceppare l’attacco di Reggio Emilia soprattutto nel primo quarto, correndo ad un ritmo forsennato e mantenendo una percentuale nel tiro da tre ben oltre il 60% con un numero di tiri che supera ben presto la decina e toccando ad un certo punto addirittura i 12 punti di vantaggio.Ma la coperta è, inesorabilmente, cortissima. Fa il suo esordio in campionato Stefano Bossi, che realizza una tripla sulla sirena del ventiquattresimo secondo ma soffre enormemente negli uno contro uno mettendo inesorabilmente in ritmo le guardie emiliane, Winston su tutti.
Entrano per qualche minuto anche Deangeli e Campogrande, che però vengono coinvolti pochissimo in attacco -con il secondo che rifiuta anche un paio di “suoi” tiri aperti- e sembrano intimiditi in difesa.
Reyes, il cui impiego era stato probabilmente programmato già per questa partita ma con un minutaggio decisamente minore, è costretto agli straordinari anche sotto canestro, mostrando però una tenuta fisica ed uno stato di forma del tutto approssimativi (anche lui, peraltro, pare sia stato fermato come i compagni in settimana da un qualche malanno fisico che gli ha impedito di allenarsi con continuità in un momento cruciale per il suo recupero), sebbene per come si muove con sicurezza sulle gambe non mostri di essere particolarmente preoccupato dello stato delle ginocchia convalescenti.
Cresce a vista d’occhio, invece, la convinzione di Jayce Johnson, così come la consapevolezza di ciò che gli viene chiesto sul campo.
Il californiano rimane grezzo dal punto di vista tecnico, macchinoso nelle conclusioni ma compensa tali difetti con un atteggiamento aggressivo che gli permette di arginare la debordanza atletica di Faye (anche lui non certo un diamante dal punto di vista tecnico), di catturare rimbalzi con tempismo e senso della posizione ed in generale di mostrare quella faccia cattiva che piace tantissimo alla gente, che infatti gli tributa scroscianti applausi più per l’atteggiamento che per l’efficacia effettiva.Le cattive notizie arrivano già a partire dal secondo quarto, durante il quale il pitturato triestino viene attaccato con più continuità dagli esterni emiliani, che sfruttano gli “show” che portano Johnson lontano da canestro per attaccare soprattutto dal lato debole ed iniziano anche ad alzare notevolmente la percentuale da oltre l’arco.
Trieste regge in attacco, toccando quota 50 all’intervallo, ma si ha la nettissima impressione che l’inerzia di una partita che vede Reggio Emilia realizzare trenta punti in dieci minuti sia totalmente nelle mani degli ospiti. La squadra di Christian raschia sul fondo del barile dell’energia ed inizia la ripresa in modo spumeggiante sorprendendo avversari che ripiombano nuovamente ad otto punti di distanza, ma è un fuoco di paglia. Valentine non è il chitarrista di Casale e sbaglia anche un paio di tiri aperti, Markel Brown si spegne alla distanza, Michele Ruzzier abbassa definitivamente le percentuali che gli avevano permesso nella prima metà di partita di tornare ad essere il terminale offensivo pericolosissimo dei playoff. Il solo Uthoff è onnipresente: si tuffa sui palloni vaganti, tira fuori magie dalla spazzatura, difende come un forsennato, ma non può bastare, anche perchè Reyes fa poco più che camminare in campo diventando insolitamente timido anche nelle conclusioni, che evidentemente non sente ancora nelle sue corde senza la sicurezza da killer che gli appartiene. Quando Johnson fallisce una schiacciata imperiosa in entrata subendo un evidente contatto (ingnorato dagli arbitri) che lo costringe a tornare negli spogliatoi per una medicazione e contemporaneamente il suo solo backup Francesco Candussi esce zoppicando presumibilmente per un risentimento muscolare ad una coscia, la luce si spegne definitivamente. Johnson rientrerà, ma non incide e viene accantonato definitivamente. Trieste finisce la partita solo con gli esterni e con Uthoff e Reyes a tentare di presidiare il pitturato, però è decisamente troppo poco, anche perchè se tenti con gli esterni di arginare i lunghi sotto canestro lasci chilometri di vantaggio alle guardie avversarie, e viceversa quando tenti di difendere forte sul perimetro: Reggio Emilia riesce a prendersi tre possessi di vantaggio e da quel momento inizia a giocare anche con il cronometro, innervosendo gli avversari che con il passare dei minuti scelgono di affidarsi esclusivamente al tiro da tre, che però si inceppa ostinatamente senza più riapparire fino alla fine. Cheatam, Vitali e Winston sono delle sentenze da fuori, e la partita scivola via senza possibilità di essere più riacchiappata per la coda. Finisce con un giallo figlio di un evidente quanto grave errore arbitrale: partita quasi finita, chiaramente nelle mani di Reggio Emilia che però, giustamente, spinge fino all’ultimo secondo disponibile per prendersi quanti più di punti di vantaggio sia possibile in vista della partita di ritorno e della possibilità di dover difendere la differenza canestri (del resto, la differenza canestri con Reggio Emilia decretò di fatto la retrocessione due anni fa, elevando all’ennesima potenza l’importanza di tale particolare). Mancano una decina di secondi, rimessa dal fondo di Trieste che sta per superare la linea di metà campo, ma con almeno 7 secondi ancora sul cronometro suona la sirena per un’evidente errore del tavolo. Qualcuno si ferma, gli arbitri si girano, la palla continua a viaggiare finendo nelle mani di Campogrande che peraltro subisce un evidente fallo che gli impedisce di tirare. Il gioco, per quasi tutti, era fermo e sarebbe stato ovviamente giusto far ripartire l’azione con i secondi che mancavano al momento del maldestro suono della sirena. Breve conciliabolo fra i tre in grigio, che incredibilmente decidono di averne avuto abbastanza alle 21:45 di una domenica sera, mandando tutti negli spogliatoi fra sonore bordate di fischi (a loro indirizzati). E’ sperabile che il destino non incroci nuovamente le strade di queste due squadre, altrimenti questi sette secondi potrebbero diventare una pietra miliare della stagione, ed anche un ulteriore segno della qualità di una classe arbitrale evidentemente più preoccupata di preservare i diritti dei campioni più celebrati che di rispettare il regolamento alla lettera.
I musi lunghi quando il risultato pare ormai maturato già durante la partita, ed anche in sala stampa, danno la misura di quanto questi giocatori ci tengano a vincere realmente tutte le partite, accettando malvolentieri ogni situazione che possa portarli ad un risultato diverso, senza peraltro andare mai alla ricerca di scuse o attenuanti. E’ un atteggiamento che piace, ed infatti la squadra esce sotto gli applausi scroscianti dei 5708 spettatori paganti (ad occhio, i presenti sono molto vicini ai 6000). Apparentemente, i malanni che hanno provocato le assenze di Brooks e Ross sono di poco conto e non impediranno loro di preparare al meglio la prossima trasferta sul campo di una Treviso che anche oggi viene sconfitta al Palaverde da Trento facendo registrare il terzo passo falso consecutivo. Reyes aumenterà i carichi di lavoro ed il suo stato di forma non può che migliorare. Rimane solo da valutare lo stato della gamba di Candussi: lasciare da solo Johnson nel ruolo di “5” potrebbe infatti diventare un problema di difficile soluzione, ma perlomeno ora ci saranno cinque giorni di lavoro per preparare un piano partita che tenga conto di una sua eventuale assenza sabato prossimo.

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images

In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
BERTRAM DERTHONA TORTONA- PALLACANESTRO TRIESTE: 82-85
Bertram Derthona Tortona: Zerini, Vital 5, Kuhse 11, Gorham 11, Candi, Farias n.e., Denegri 3, Strautins 7, Baldasso 18, Kamagate 12, Biligha 2, Weems 13.
Allenatore: Walter De Raffaele Assistenti: Iacopo Squarcina, Giovanni Bassi, Edoardo Rabbolini.
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 19, Deangeli n.e., Reyes n.e., Uthoff 11, Ruzzier, Campogrande n.e., Candussi 3, Brown 8, Brooks 13, Johnson 9, Valentine 22.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Baldini, Bettini, Bartolomeo

CASALE MONFERRATO – Terzo giro, terzo capolavoro per una Pallacanestro Trieste il cui limite, per dirla come il suo GM, è ora solo il cielo.
Seconda vittoria consecutiva in trasferta (la nona, considerando il pirotecnico finale della scorsa stagione) che arriva in modo ancora una volta nuovo e diverso dalle due precedenti.
Ma partiamo, invece, dalla costante: la squadra di Jamion Christian vince ancora imponendo il suo gioco, senza snaturarsi, trovando protagonisti ed accorgimenti diversi ma facendo leva sui suoi punti di forza, sul suo ritmo forsennato, sulla sua clamorosa intensità difensiva, contro squadre che non hanno attenuanti e che hanno sempre tentato il tutto per tutto per vincere.
Questo roster ha una personalità clamorosa, che rende ben più della somma di quelle, peraltro piuttosto marcate, dei suoi attori protagonisti.
Una personalità che intimidisce ed irretisce, diverte e sorprende, disorienta e colpisce al cuore chiunque cerchi di intuire da chi e da dove arriverà la prossima invenzione.
Contro Tortona, come previsto, è necessario saper soffrire senza deragliare, ben consci che il vantaggio di 14 punti faticosamente accumulato nel terzo tempo non sarebbe certamente stato sufficiente ad arrivare tranquilli fino in fondo, soprattutto perché le rotazioni a disposizione di coach De Raffaele sono lunghissime e dotate di giocatori dal talento infinito, a cui i biancorossi possono al momento opporre non più di otto giocatori (di cui uno, Ruzzier, che non arriva a 10 minuti di impiego ed un altro, Candussi, si ferma a 11), con un ultimo quarto nel quale stringere i denti ignorando l’acido lattico sembra l’impresa più ardua da compiere.
Già, perchè nonostante la lunga trasferta da cinque ore di pullman, Justin Reyes è in divisa da gioco, fa il riscaldamento con i compagni ma, ancora una volta, non sfiora il parquet nei quaranta minuti di partita infittendo il mistero sulle condizioni del suo ginocchio.
Eppure, nonostante le triple di Baldasso e Kuhse che accendono il PalaEnergica come una polveriera ed un Kamagate che sotto canestro è un’arma illegale, ed un recupero del gap che avrebbe disciolto il morale di un leone consegnando definitivamente l’inerzia della partita ed i due punti nelle mani dei padroni di casa, ancora una volta Trieste si mette a ragionare ed a fare le cose giuste al momento giusto, sfruttando la sfacciata incoscienza e l’infinito talento di un Denzel Valentine che dimostra ogni partita di più che gli scout dei Chicago Bulls che lo scelsero al numero 14 nel 2016 non furono proprio degli sprovveduti.
L’uomo di Lansing dà spettacolo con una sequenza da sette metri che abbatterebbe un baobab, con la freddezza glaciale che gli permette di segnare i tre tiri liberi della (quasi) sicurezza e la pazzia che gli consiglia di far passare un assist no look sopra la testa per l’accorrente Brooks innescando l’affondata del +6 ad una manciata di secondi dal termine.
Ma Trieste sfrutta anche la clamorosa intensità difensiva di Jarrod Uthoff e Jeff Brooks, che rende un’impresa ogni singola conclusione di Tortona.
Che poi campioni assoluti come Weems o Kuhse riescano comunque a trovare la via del canestro grazie esclusivamente al loro talento è qualcosa di più casuale che razionale, ed infatti si inceppa sul più bello spianando la strada alla vittoria biancorossa nonostante qualche evitabile batticuore di troppo negli ultimi dieci secondi. Del resto quando finisci la partita vedendo il mondo a pois per la stanchezza, una gestione poco lucida delle situazioni cruciali è il minimo che ti può accadere.
E’, però, anche la vittoria di Jamion Christian e dei suoi assistenti, e della loro pallacanestro, su quella più tradizionale e certosina di Walter De Raffaele.
Il coach americano, dopo aver assistito allo show devastante di Kamagate sotto canestro, con i suoi giocatori impotenti davanti all’esuberanza atletica, al tempismo ed alla tecnica del giovane centro francese, decide di averne avuto abbastanza e nel finale tira fuori dal cilindro una soluzione che ai più parrebbe un suicidio: toglie entrambi i centri inserendo Brooks e Uthoff a fare da “falsi 5” ma con licenza di uccidere anche da fuori e con capacità di difendere anche sugli esterni.
De Raffaele, di conseguenza, decide di non rischiare nulla e reagisce facendo sedere definitivamente il suo asso nella manica sotto canestro, rinunciando così al devastante vantaggio strategico nel pitturato ed allontanando dal canestro il baricentro del gioco della sua squadra.
Trieste ringrazia e va a nozze, potendo contare su quattro giocatori in grado di ricoprire tre ruoli, che rendono ogni singola conclusione a canestro dei piemontesi un’autentica impresa e trovando, sull’altro lato del campo, le stoccate decisive di Valentine e Brooks. Game, set, match.La cronaca della partita racconta di un primo tempo in cui Trieste soffre l’avvio spumeggiante di una Tortona che conferma le sue clamorose percentuali al tiro, che ad un paio di minuti dall’intervallo recitavano un clamoroso 90% da due. Trieste prima soffre finendo sotto di cinque, anche di otto punti, poi come sempre sfrutta un paio di fiammate, ed una qualità difensiva clamorosa, per rifarsi sotto e mettere il naso avanti proprio a ridosso del decimo minuto. Colbey Ross, come i suoi compagni nel loro ritorno da “ex” nelle partite precedenti, fa di tutto per farsi rimpiangere dai suoi ex tifosi, dando spettacolo soprattutto in attacco. Jarrod Uthoff torna ad essere una sentenza anche da fuori, e sono notizie cattivissime per gli avversari. Anche Candussi entra bene in partita, colpisce da tre, scaglia triple ben costruite attirando lontano da canestro i lunghi avversari, subendo però lo strapotere fisico di Kagamate e Biligha come del resto il suo compagno di reparto Johnson, che nella partita per lui potenzialmente più difficile viene prima brutalizzato sui due lati del campo, dimostrando movimenti impacciati e lenti, trovando però inaspettatamente ritmo alla distanza, catturando rimbalzi, lottando a sportellate sotto il ferro, andando anche più volte a canestro. Da inizio secondo quarto i biancorossi non lasceranno più il comando delle operazioni, con un gap ad elastico che nel terzo quarto, nonostante quattro minuti in cui Trieste si inceppa completamente dal punto di vista offensivo realizzando solo due punti, deflagra improvvisamente come un barile di polvere da sparo nel quale viene gettato un fiammifero acceso. E’ il momento in cui Valentine decide di inscenare il suo show, fatto di triple insensate, scagliate da distanze che sarebbero esagerate anche in NBA, libero, con l’uomo addosso, fuori equilibrio, senza ritmo, piedi a terra o cadendo indietro. Onnipotenza allo stato puro. Il finale è concitato nonostante due canestri di platino di Brooks che prima tengono i bianconeri a distanza, poi scavano un gap decisivo di due possessi. Il tiro del possibile pareggio all’ultimo secondo concesso a Vital sul +3 e palla in mano a nove secondi dalla fine della partita -peraltro a causa di un errore dell’MVP delle precedenti due partite Markel Brown che frana addosso a Candi prima della rimessa triestina- è un peccato veniale che sarebbe potuto costare carissimo, ma è anche l’unico neo tecnico di una partita per il resto ineccepibile.
Meno lucida del solito, invece, la regia di Michele Ruzzier, che stavolta soffre soprattutto dal punto di vista fisico avversari pari ruolo che lo sovrastano sotto quell’aspetto intimidendolo al punto di costringerlo ad inusuali quanto banali palle perse. Turnovers che sono ancora troppo numerosi, 15 dopo i 23 di Napoli, che debbono assolutamente essere ulteriormente limitati, specie perchè per la maggior parte sono frutto di errori banali o di un po’ di sufficienza. Statistiche che però, d’altro canto, raccontano una vittoria piuttosto netta anche lì dove ci si poteva aspettare maggiore sofferenza. Un dato fra tutti, quello dei rimbalzi, dove Trieste prevale per 43-36 (con ben 15 rimbalzi offensivi) e la percentuale nel tiro da tre, dove Trieste raggiunge il 45% con 14 triple segnate contro il 23% di Tortona, che vede crollare al 55% la percentuale da due punti scendendo in 22 minuti dal 90% di fine primo tempo a causa, soprattutto, della pressione difensiva triestina e nonostante la quasi infallibilità del suo centro francese. In sintesi, 104-77 nella valutazione complessiva rendono la differenza di valore delle due prestazioni ben più netta dei soli tre punti raccontati dal tabellone.
La Pallacanestro Trieste rimane così in vetta alla classifica a punteggio pieno, affiancata in serata dalla Virtus, che passeggia sui resti di una Reyer decimata dagli infortuni ed ancora inchiodata a zero punti dopo tre partite (fa comunque un certo effetto rivedere a lungo contemporaneamente sul parquet il Lobito Fernandez e Giga Janelidze proprio nella serata in cui Trieste rivince sul magico campo di Casale) ed in attesa delle partite della domenica, in particolare quelle di Brescia che fa visita all’Olimpia e Trento che affronta in casa la Varese di Nico Mannion. Nel terzo anticipo, infine, seconda imbarcata consecutiva per Treviso, che dopo i 17 punti subiti in casa da Trapani ne busca 22 a Reggio Emilia, prossima avversaria di Trieste domenica sera. Il PalaTrieste, c’è da giurarci, sarà pronto a riaccogliere a braccia aperte il suo bel giocattolo, un giocattolo capace nel giro di sei mesi di riaccendere, facendolo deflagrare, un entusiasmo che pareva sopito per sempre.

(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images

In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
NAPOLI BASKET – PALLACANESTRO TRIESTE: 83-92
Napoli Basket: Treier 12, Pangos 13, Woldetensae 7, Manning jr. 11, Williams 2, Copeland 14, De Nicolao, Dreznjak 4, Totè 18, Hall 2, Mabor n.e., Saccoccia n.e.
Allenatore: Igor Milicic Assistenti: Francesco Cavaliere, Marek Zapalowski.
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 10, Deangeli n.e., Uthoff 14, Ruzzier 8, Campogrande n.e., Candussi, Brown 29, Brooks 8, Johnson 6, Valentine 17.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Borgioni, Bartoli, Valleriani

NAPOLI – Prova di maturità superata: era palese già alla vigilia che a Napoli la Pallacanestro Trieste avrebbe dovuto mettere in campo un upgrade rispetto alla spettacolare partita dell’esordio contro Milano, nella quale tutto era andato per il verso giusto davanti a seimila invasati a dare coraggio ed energia.
L’upgrade consisteva tutto nel dimostrare carattere, identità di squadra, capacità di reazione nelle difficoltà nonostante una prestazione dal rendimento ondivago, con la ricerca di soluzioni alternative quando il piano partita va gambe all’aria con Ross e Candussi subito penalizzati da un metro arbitrale che punisce anche gli sguardi cattivi (in modo peraltro equanime su entrambi i lati del campo).
Certo, questa ricerca può andare a buon fine solo se nel roster puoi contare su giocatori dal talento e dalle qualità mentali di un livello che in canottiera alabardata non si vedeva da decenni.
Ne risulta una partita nella quale Jamion Christian trova esecutori letali diversi nell’arco dei 40 minuti, esecutori dalla tenuta psicologica tale da non lasciar scalfire il proprio amor proprio, la propria sicurezza, la consapevolezza nei propri mezzi nemmeno dopo quintali di palle gettate banalmente al vento, air ball, scivolate inspiegabili con conseguente innesco del contropiede avversario con conseguenti festeggiamenti in tribuna.
Succede così che, tolto il fuoriclasse assoluto e trasversale nell’arco dell’intero incontro Markel Brown, che quando è lasciato libero di pennellare pallacanestro dipinge Gioconde con una disarmante facilità sia in attacco che in difesa, prendendosi magari meno iniziative nel secondo tempo ma di un valore aggiunto smisurato, Trieste estragga dal cilindro i soliti noti nell’esatto momento in cui ne ha bisogno.
Brooks è un insegnante di pallacanestro tornato a divertirsi, una specie di belva troppo a lungo tenuta in gabbia, guarita e liberata nella savana. Affidabilità allo stato puro.
La partita di Denzel Valentine, in questo senso, è apparentemente inspiegabile: l’ex Chicago Bulls gioca un primo tempo agghiacciante, scivola un paio di volte finendo addirittura schiena a terra totalmente disorientato, perde palloni a ripetizione, non mette dentro un tiro nemmeno se gli si aprisse davanti una vasca da bagno al posto del canestro.
Jarrod Uthoff, dal canto suo, sembra la brutta copia di mister utilità contro Milano: anche lui perde palloni a ripetizione, trova un paio di canestri che non si può esimere dal depositare nel ferro ma sembra privo della affidabilità e della continuità dimostrata in pre season.
Ciò nonostante, in un primo tempo ad elastico con Trieste prima avanti di sette, poi sotto di dieci, i giuliani riescono a limitare i danni comprimendo a soli 4 punti il gap all’intervallo, ma anche sollevando grandi interrogativi sull’andamento della seconda frazione, con Colbey Ross limitato dai falli, Ruzzier insolitamente impreciso nella calibrazione dei passaggi, Johnson preso a pallonate da Totè (…) e Candussi tornato a commettere i soliti congeniti inutili falli lontanissimo dal canestro che di fatto lo tolgono dall’incontro.
Interrogativi spazzati subito via dall’avvio di ripresa di Denzel Valentine, che fino ad allora era stato autore di una virgola nella casella dei punti realizzati e di un eloquente -2 di valutazione complessiva.
La follia di Valentine è, però, destinata a divenire il leit motif della stagione biancorossa: 14 punti nel terzo quarto, bombe a ripetizione scagliate da sette-otto metri fuori ritmo con l’uomo addosso e senza compagni sotto canestro, penetrazioni con tiri ad una mano in step back, addirittura avvicinamenti a canestro con movimento da post basso.
Recupera palloni e cattura rimbalzi, piazza assist e rimette definitivamente l’inerzia della partita nelle mani di Trieste, che in un amen torna avanti di due possessi e rimarrà in vantaggio fino alla fine.Un rebus irrisolvibile per la difesa partenopea, ma anche per il suo coach: l’azione nella quale viene chiuso in un angolo dal raddoppio napoletano e si agita indicando una “T” agli arbitri nel tentativo di chiamare time out come faceva a Chicago (commettendo infrazione di passi con faccia stupita perchè il time out non gli era stato inspiegabilmente concesso) è l’emblema di quanto questo ragazzo viva totalmente fuori da ogni tentativo di inquadramento, caratteristica che peraltro porta di gran lunga più fatturato che danni: alla fine, per lui sarà doppia doppia da 17 punti e 12 rimbalzi. Napoli, però, gioca in casa in un ambiente capace di infondere energia, ha un coach che fa del carattere la sua cifra distintiva, ed è anche dotata di grande talento: Pangos e Copeland rispondono colpo su colpo rendendo il match godibile ed emozionante nonostante gli innumerevoli errori. Si arriva negli ultimi cinque minuti sostanzialmente in equilibrio, un equilibrio che viene definitivamente spezzato dall’uomo-robot, anche a Napoli in campo per 35 minuti: Jarrod Uthoff, con la sua espressione sempre indecifrabile che apparentemente non trasmette emozioni, fiuta il momento e si carica la squadra sulle spalle. E’ il tempo dell’organizzazione e del fosforo, non più della follia e dell’improvvisazione. E’ il tempo della leadership e della freddezza, doti che al nativo dell’Iowa non difettano nemmeno in minima misura. Tre stoppate (di cui due su tiro da tre ed una, a Woldetensae, a due mani con pallone rimasto in possesso triestino), due palle recuperate, innumerevoli rimbalzi e, soprattutto, due bombe consecutive e due canestri da sotto mettono di fatto fine alla contesa.

Ne risultano numeri che testimoniano di una prestazione collettivamente eccellente, sebbene l’eccellenza sia distribuita in modo disomogeneo fra i singoli e fra i quarti di gioco. Ciò che più conta, però, sono i 4 uomini in doppia cifra, il dominio a rimbalzo (42 a 28 con 10 carambole offensive), le 6 stoppate date, il 65% da due punti (doppiata la prestazione contro Milano) e le 17 triple con il 45% da oltre l’arco, i 20 assist (di cui 9 piazzati da un Colbey Ross in campo per soli 22 minuti), cifre che si riassumono in un eloquente 121-66 di valutazione finale. Certo, le 23 palle perse suonano come una puntina da giradischi strisciata di traverso sul vinile, ma tutto sommato raccontano di una partita che Trieste riesce a portare a casa in modo netto nonostante molti angoli da smussare, dimostrando in tal modo grande capacità di leggere le situazioni e porvi rimedio strada facendo. La sofferenza di Johnson sotto canestro, specie quando è costretto ad andare a concludere in modo statico da post basso e spalle a canestro, contro un reparto lunghi partenopeo costituito dal solo Totè non può che essere un campanello d’allarme, anche perchè Candussi ama giostrare lontano da canestro e le prossime due avversarie, Tortona e Reggio Emilia, sono dotate di tonnellaggio e centimetri che nel pitturato costituiscono una specie di caveau della Banca d’Italia. E la percentuale da lontano, anche se distribuita fra tre fini esecutori ed altri tre decenti finalizzatori, non potrà rimanere in ogni partita tale da permettere di ovviare a scarsa dinamicità sotto il ferro. Non deve ingannare la clamorosa percentuale da due punti realizzata a Napoli: è frutto di soli 20 tiri (contro le 38 triple tentate) e quasi sempre dalla media distanza o in veloce penetrazione da contropiede o palla recuperata.
I due punti in classifica, che mantengono Trieste al primo posto assieme a Trento, Brescia, Tortona e Bologna, permette però di affrontare l’ennesima settimana serena in preparazione alla trasferta di Casale contro una fra le prime tre forze del campionato. L’asticella perciò si alza ulteriormente, l’upgrade richiesto verso l’eccellenza e la legittimazione delle ambizioni è ancora più indispensabile. In tal senso aiuterebbe magari che, prima o poi, venga sciolto il mistero sulle reali condizioni di Justin Reyes, che compagni di squadra, allenatori e GM si affannano a definire ottime ma che, di fatto, non permettono ancora al giocatore di essere ancora iscritto a referto. Un americano in più, oltretutto in grado di ricoprire in modo credibile tre ruoli, ridarebbe profondità a rotazioni che al momento sembrano davvero cortissime, davanti all’evidenza degli zero minuti giocati in tre in due partite dal trio Bossi-Campogrande-Deangeli. Vedere Markel Brown chiedere disperatamente il cambio per riprendere un po’ di fiato nel secondo tempo e non venire nemmeno preso in considerazione è un aspetto che, alla lunga, potrebbe avere conseguenze fisiche imprevedibili. E dunque, più che di morbosa curiosità sullo stato di salute di una persona, si tratta di riuscire ad inquadrare il futuro prossimo della squadra.
Intanto, a livello statistico, fa impressione osservare come Trieste sia giunta alla dodicesima vittoria nelle ultime 13 partite ufficiali disputate, l’ottava consecutiva in trasferta. Pensare che a fine aprile (del 2024!) arrivava la sconfitta in casa con l’Urania Milano, oggi, fa quasi tenerezza…

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In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – OLIMPIA MILANO: 84-78
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 22, Reyes n.e., Deangeli n.e., Uthoff, Ruzzier 5, Campogrande n.e., Candussi 5, Brown 18, Brooks 14, Johnson 1, Valentine 19.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Olimpia Milano: Dimitrijevic 2, Bortolani, Tonut 4, Bolmaro 11, LeDay 18, Ricci 3, Flaccadori, Diop 2, Caruso 2, Shields 12, Nebo 6, Mirotic 18.
Allenatore: Ettore Messina Assistenti: Mario Fioretti, Milan Tomic, Alberto Seravalli.
Arbitri: Giovannetti, Valzani, Borgo.

TRIESTE – Si fa davvero fatica a credere a quello che accade, ed accadrà, sul rinnovato parquet del palazzo di via Flavia.
Cinque mesi esatti dopo sconfitta casalinga contro Milano (sì, ma era l’Urania…) la Pallacanestro Trieste esalta, si esalta, diverte e si diverte vincendo con assoluto ed incontrovertibile merito contro i campioni d’Italia dell’Olimpia.
E dire che a leggere nel prepartita la formazione scelta da Ettore Messina per inaugurare il campionato, erano pure svanite le pie illusioni sulle possibilità di un turnover almeno parziale finalizzato a preservare i top players in vista dell’esordio in Eurolega a Montecarlo mercoledì prossimo.
Mirotic e Bolmaro, Nebo e Shields, Leday, Dimitrijevic, Ricci e Tonut tutti nella lista dei disponibili per affrontare Trieste, segno del grande rispetto per l’impegno da parte del coach siciliano dell’Olimpia. Trieste, come previsto, recupera Colbey Ross e Markel Brown (che questa partita probabilmente l’avrebbero giocata anche su una gamba sola) ma rinuncia ancora una volta ad un Justin Reyes che tutti si affannano a definire fisicamente a posto ed in perfetta forma ma che finora è sceso in campo per soli 14 minuti il 31 agosto.Il Palatrieste è una polveriera vestita a festa. Colpo d’occhio fantastico, coreografia da brividi (con anche il commovente omaggio a Sveva, cinque anni dopo il suo volo in cielo), del resto il futuro inizia oggi e bisogna dargli il miglior benvenuto possibile. L’atmosfera è elettrica e c’è voglia di festeggiare, ma ovviamente anche la speranza di assistere perlomeno ad una prestazione volonterosa e battagliera dei ragazzi di casa contro una corazzata apparentemente priva di punti deboli, preparati a rendere le armi con onore davanti alle preponderanti forze nemiche. Sono sufficienti un paio di minuti per comprendere, prima di tutto, che la Serie A dista almeno tre categorie dalla serie cadetta per fisicità, velocità, talento, spettacolo. E’ ovviamente un’osservazione pleonastica, ma l’impressione, ogni volta che torniamo ad assaporare la Serie A, è distintamente quella di assistere ad un altro sport rispetto alla A2. La seconda impressione, decisamente meno scontata, è che la Pallacanestro Trieste allestita durante l’estate dal trio Arcieri-Christian-Mattiasich sia una macchina divertente e completa, sfacciata e coraggiosa, che si diverte a giocare assieme e non disdegna di affidarsi all’estro incontenibile di tre esterni destinati ad esaltare il climax del red wall: Colbey Ross, Markel Brown e Denzel Valentine hanno il senso dello show, prima ancora del talento cestistico ormai assodato. Parlano fra loro, si innescano, mandano al bar i celebrati avversari in uno contro uno, inventano canestri improbabili e non si tirano certo indietro quando i palloni iniziano a pesare una tonnellata. Colbey Ross, oltretutto, infila nel primo tempo la prima Tripla de Tabela della stagione ricordando a tutti che riparte anche l’iniziativa “Triple di Cuore”, che tanto successo ha avuto nella passata stagione. I tre solisti sono però sostenuti da un’orchestra di prim’ordine, che se anche stecca qualche nota in attacco rimedia con una somma infinita di piccoli e piccolissimi particolari eseguiti talmente bene da rivelarsi, alla fine, l’arma della vittoria. Jarrod Uthoff, ad esempio, non lascia certo scalfire il suo impenetrabile aplomb dallo zero su sette al tiro per lui inconsueto: viene lasciato sul parquet più di 35 minuti ed il suo sacrificio difensivo su Mirotic, le palle recuperate, i rimbalzi, i blocchi e le stoppate valgono due punti in classifica tanto quanto i 60 punti complessivi (su 84) realizzati dai tre tenori. Uthoff è affiancato nel suo compito sottotraccia da un altro degli assi nella manica a disposizione di coach Christian, un giocatore che sembra un patrimonio ridonato alla pallacanestro italiana per entusiasmo, voglia di divertirsi e classe cristallina: Jeffrey Brooks è un piacere per gli occhi degli esteti del basket per la sua pulizia tecnica, ma lo è anche per i suoi atteggiamenti istrionici capaci di esaltare anche il compassato pubblico delle prime file del parterre. Per l’ex Reyer alla fine il tabellino recita 14 punti con il 100% al tiro da due e da tre, due rimbalzi ed un assist. Vale tanto oro quanto pesa.
Il rovescio della medaglia, come previsto, è la brevità delle rotazioni, accentuata dall’assenza di Reyes. Christian decide di affidarsi, dalla panchina, solo a Ruzzier e Candussi, tenendo seduti per 40 minuti Bossi, Campogrande e Deangeli. Vedremo con il passare delle giornate quanto l’assenza di backup credibili possa pesare nelle gambe degli otto super utilizzati, ma per il momento basta ed avanza anche così. Ruzzier, che contro Bolmaro, Dimitrijevic e Shields paga ovviamente dal punto di vista fisico, non produce nulla in attacco se non una fondamentale tripla dall’angolo sulla sirena del terzo quarto. In compenso, dà preziosi minuti di fiato a Colbey Ross senza abbattere l’efficienza del quintetto, confermandosi playmaker potenzialmente titolare. E poi può giocare anche assieme a Ross, come accade quando Christian decide di affidarsi ad un quintetto piccolo ed agile. Anche Francesco Candussi, che contro Nebo è prevedibilmente intimidito sotto il ferro, come di consueto spiega la sua arma in più rispetto alla media dei lunghi di pari stazza: la sua pericolosità dal perimetro, oltre a permettergli di piazzare triple di incalcolabile importanza, ha l’effetto di attrarre fuori dal pitturato i big man avversari creando praterie per le scorribande dei tre tenori. Da rivedere, invece, Jayce Johnson, anche lui sovrastato fisicamente in attacco da Nebo, Mirotic e Leday, che lo brutalizzano anche a rimbalzo. Solo un punto e tre carambole in 15 minuti per lui, in un match che non si prestava ad essere troppo morbido per il suo esordio in Europa. Di buono c’è che non si affronterà sempre Milano e che ha mostrato ampi margini per migliorare, soprattutto nell’intesa con i piccoli in grado di innescarlo in transizione o nel pick and roll, specie se eseguito velocemente. Da rivedere, invece, la sua attitudine in post basso, posizione dalla quale preferisce di gran lunga cercare l’extrapass sul perimetro o a favore del compagno che taglia, piuttosto che andare direttamente a canestro.
Trieste parte fortissimo sulle ali dell’entusiasmo, accumula anche cinque punti di vantaggio, poi subisce il ritorno di una Milano che, dal canto suo, non pare dannarsi particolarmente l’anima nella fase iniziale del match. Del resto l’Olimpia è un diesel, capace di attendere sorniona che le fiammate degli avversari si esauriscano assieme alle loro energie per uscire dal guscio con intensità difensiva e devastante velocità in transizione capaci in pochissimo tempo di sovvertire qualunque gap, come del resto avvenuto solo una settimana fa nella finale di Supercoppa contro la Virtus. Nel secondo quarto la squadra di Messina raggiunge anche i sette punti di vantaggio, sembrando padrona dell’inerzia della partita nell’unico momento di rottura offensiva biancorossa. Ma è anche troppo poco concentrata, e la distrazione la porta a perdere un paio di palloni (12 turnovers nel primo tempo, 17 in tutto, davvero troppi per poter pensare di vincere in trasferta) capitalizzati con gli interessi dagli indemoniati Brown e Ross. Da quel momento Trieste non mollerà mai la presa, e non permetterà mai a Milano di avvicinarsi a meno di due possessi, riuscendo anzi, addirittura, ad allargare il gap ben oltre la doppia cifra. L’Olimpia le prova tutte, con le buone e le cattive, inserisce Flaccadori e Caruso (fatti risedere in fretta e furia, per non smentirsi), eleva a dismisura la fisicità e la pressione difensiva, manda in confusione l’attacco triestino che sbanda paurosamente ma non deraglia mai, trovando canestri frutto più del talento smisurato dei singoli che di capacità di costruire giochi organizzati, ma anche gettandosi senza paura su ogni pallone vagante: sbucciarsi le ginocchia per questi professionisti così clamorosamente motivati non è certo un problema. Non che sfruttare il talento dei singoli quando serve costituisca un difetto, anzi: la squadra di Christian di quest’anno è esattamente questa cosa qui, una macchina imprevedibile che può basarsi sulle individualità esattamente come nel collettivo, leggendo alla perfezione le situazioni. Negli ultimi cinque minuti, peraltro, Trieste restituisce colpo su colpo anche dal punto di vista difensivo, impedendo canestri facili, sporcando ogni linea di passaggio, stoppando tiri apparentemente instoppabili da tre e tornando anche a conquistare quei rimbalzi difensivi che avevano permesso a Milano di tenersi in scia per tutto l’incontro grazie a seconde e terze chances. L’Olimpia perde fiducia e capisce di aver perso accettando la sconfitta, senza nemmeno tentare il tutto per tutto negli ultimi secondi. Merito triestino riconosciuto anche con grande sportività da Ettore Messina in sala stampa. Ed ora c’è ancora qualche giorno dedicato ai ritardatari della campagna abbonamenti che, c’è da giurarci, registrerà un deciso arrotondamento prima della prossima partita casalinga con Reggio Emilia.

Roba da darsi un pizzicotto per sicurezza…..

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In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
TRIESTE – Dai botti di mercato alla bomba societaria è un attimo: quando tutti, stufi di basket chiacchierato e del sonnacchioso caldo agostano, attendevano solo l’inizio della preparazione, con la consueta curiosità di vedere all’opera i nuovi arrivati e l’impazienza di iniziare la nuova avventura in Serie A, primo vero atto del tanto sbandierato progetto pluriennale con il quale si erano presentati i soci di CSG ed in particolare l’ormai ex presidente Richard De Meo, arriva del tutto imprevista l’uscita di scena dell’intero gruppo di investitori che possedevano il pacchetto azionario di CSG, a sua volta controllante del 100% di CSG Italia la quale, infine, possiede il 99% delle quote della Pallacanestro Trieste.
CSG e CSGI rimangono, oggi come ieri, proprietarie del club, però tutte le loro quote sono state acquisite dall’ultimo socio accolto nella compagine, quel Paul Matiasic entrato in corso d’opera nell’operazione e che ora ne diventa anche l’unico protagonista.
La partecipazione dell’avvocato californiano di origini istriane/friulane alla Summer League assieme a Michael Arcieri e Jamion Christian, assieme al fatto che era già da aprile titolare della percentuale maggioritaria di quote della società, può essere letto, a posteriori, come una labile avvisaglia di ciò che stava maturando, ma la repentinità dell’operazione che di fatto mette fine al progetto per come era stato prospettato, oltretutto subito dopo aver riconquistato il palcoscenico per il quale era stato concepito, lascia tutti sorpresi e a dir poco sconcertati. La qualità del mercato ed il livello della squadra allestita, evidentemente con l’avvallo del nuovo presidente (allora ancora in pectore) lancia segnali confortanti per il presente più che per il futuro: per quello, ci sarà modo di ascoltare le parole del proprietario, al di là dei proclami preconfezionati nei comunicati della prima ora, e soprattutto la riprova dei fatti con il passare dei mesi.
Le capacità di attrarre capitali da investire nello sport, mission di CSG, era l’idea iniziale degli ex studenti di Wharton, che evidentemente hanno usato Trieste come incubatore del loro business.
Da chi, o che cosa, siano stati convinti a desistere dopo solo pochi mesi, al netto di una inattesa retrocessione cui si è peraltro posto rimedio in tempi rapidissimi, non è dato sapere ed è una informazione che, nella sua interezza, sarà ben difficile da ottenere, sebbene il fatto che anche la miglior business school d’America non fornisca in dote il sangue freddo necessario per affrontare nel mondo reale la copertura di stagioni in forte perdita economica, versando dollari veri, potrebbe aver avuto la sua influenza.
Di certo, l’unico proprietario dovrà far fronte da solo (ed al momento senza un main sponsor) ad una gestione prevedibilmente deficitaria dal punto di vista finanziario, e pur considerando le presumibilmente facoltose possibilità economiche di un potente avvocato californiano, alla guida anche di altre iniziative imprenditoriali, non è plausibile che possa farsi carico da solo di budget milionari da spendere nell’estremo lembo orientale di un paese lontano 10.000 chilometri dall’epicentro dei suoi interessi economici, anche se vicinissimo al suo cuore ed alla sua eredita storica.
Il comunicato societario, al di là dei ringraziamenti e dell’entusiasmo di facciata ed una generica assicurazione sul fatto che i proprietari uscenti rimarranno investitori nel club (senza però spiegare a che titolo), non chiarisce tale cruciale aspetto, che però sarà la chiave di volta per il basket di vertice triestino.
Di buono c’è che Matiasic sia legato a doppio filo a questa terra grazie alle origini istriane e pordenonesi dei suoi nonni, che l’orizzonte del progetto di CSG ora sia dichiaratamente focalizzato esclusivamente sulla pallacanestro triestina, che l’avvocato di San Francisco non possa non aver stilato un business plan prudenziale (e dunque sia ben conscio dell’impegno economico che lo aspetta e ciò nonostante non abbia desistito), e, particolare da non sottovalutare, che venga garantita continuità se non altro dal punto di vista sportivo con la permanenza di Michael Arcieri, che oltre a rimanere GM siederà anche in consiglio di amministrazione assieme allo stesso presidente ed a Connor Barwin, unico esponente della vecchia proprietà a non uscire di scena, almeno dal punto di vista gestionale.
Le precedenti esperienze del club triestino guidato dalle cosiddette “proprietà forti”, concentrate nelle mani di singoli imprenditori, da Bepi Stefanel a Frank Garza e Luigi Scavone, suscitano qualche brivido sulla schiena di chi segue da qualche anno le alterne vicende del basket triestino.
Ora però la missione della città è quella di sostenere in tutto e per tutto il nuovo presidente, che merita senza riserve la fiducia e l’incoraggiamento di tutti, la squadra e la società, a partire da una risposta importante alla campagna abbonamenti, partita in modo entusiastico ma ancora tiepida in termini numerici.
Il sostegno della piazza non può che creare un circolo virtuoso che potrebbe fungere da calamita per un nuovo allargamento della compagine societaria, così come la nazionalità della proprietà e della conduzione del settore sportivo è stata per i giocatori americani di prima fascia che hanno accettato di buon grado di sposare la missione biancorossa.

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Crediti: tutte le immagini sono tratte dal profilo Facebook ufficiale della Pallacanestro Trieste