In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
NAPOLI BASKET – PALLACANESTRO TRIESTE: 83-92
Napoli Basket: Treier 12, Pangos 13, Woldetensae 7, Manning jr. 11, Williams 2, Copeland 14, De Nicolao, Dreznjak 4, Totè 18, Hall 2, Mabor n.e., Saccoccia n.e.
Allenatore: Igor Milicic Assistenti: Francesco Cavaliere, Marek Zapalowski.
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 10, Deangeli n.e., Uthoff 14, Ruzzier 8, Campogrande n.e., Candussi, Brown 29, Brooks 8, Johnson 6, Valentine 17.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Borgioni, Bartoli, Valleriani
NAPOLI – Prova di maturità superata: era palese già alla vigilia che a Napoli la Pallacanestro Trieste avrebbe dovuto mettere in campo un upgrade rispetto alla spettacolare partita dell’esordio contro Milano, nella quale tutto era andato per il verso giusto davanti a seimila invasati a dare coraggio ed energia.
L’upgrade consisteva tutto nel dimostrare carattere, identità di squadra, capacità di reazione nelle difficoltà nonostante una prestazione dal rendimento ondivago, con la ricerca di soluzioni alternative quando il piano partita va gambe all’aria con Ross e Candussi subito penalizzati da un metro arbitrale che punisce anche gli sguardi cattivi (in modo peraltro equanime su entrambi i lati del campo).
Certo, questa ricerca può andare a buon fine solo se nel roster puoi contare su giocatori dal talento e dalle qualità mentali di un livello che in canottiera alabardata non si vedeva da decenni.
Ne risulta una partita nella quale Jamion Christian trova esecutori letali diversi nell’arco dei 40 minuti, esecutori dalla tenuta psicologica tale da non lasciar scalfire il proprio amor proprio, la propria sicurezza, la consapevolezza nei propri mezzi nemmeno dopo quintali di palle gettate banalmente al vento, air ball, scivolate inspiegabili con conseguente innesco del contropiede avversario con conseguenti festeggiamenti in tribuna.
Succede così che, tolto il fuoriclasse assoluto e trasversale nell’arco dell’intero incontro Markel Brown, che quando è lasciato libero di pennellare pallacanestro dipinge Gioconde con una disarmante facilità sia in attacco che in difesa, prendendosi magari meno iniziative nel secondo tempo ma di un valore aggiunto smisurato, Trieste estragga dal cilindro i soliti noti nell’esatto momento in cui ne ha bisogno.
Brooks è un insegnante di pallacanestro tornato a divertirsi, una specie di belva troppo a lungo tenuta in gabbia, guarita e liberata nella savana. Affidabilità allo stato puro.
La partita di Denzel Valentine, in questo senso, è apparentemente inspiegabile: l’ex Chicago Bulls gioca un primo tempo agghiacciante, scivola un paio di volte finendo addirittura schiena a terra totalmente disorientato, perde palloni a ripetizione, non mette dentro un tiro nemmeno se gli si aprisse davanti una vasca da bagno al posto del canestro.
Jarrod Uthoff, dal canto suo, sembra la brutta copia di mister utilità contro Milano: anche lui perde palloni a ripetizione, trova un paio di canestri che non si può esimere dal depositare nel ferro ma sembra privo della affidabilità e della continuità dimostrata in pre season.
Ciò nonostante, in un primo tempo ad elastico con Trieste prima avanti di sette, poi sotto di dieci, i giuliani riescono a limitare i danni comprimendo a soli 4 punti il gap all’intervallo, ma anche sollevando grandi interrogativi sull’andamento della seconda frazione, con Colbey Ross limitato dai falli, Ruzzier insolitamente impreciso nella calibrazione dei passaggi, Johnson preso a pallonate da Totè (…) e Candussi tornato a commettere i soliti congeniti inutili falli lontanissimo dal canestro che di fatto lo tolgono dall’incontro.
Interrogativi spazzati subito via dall’avvio di ripresa di Denzel Valentine, che fino ad allora era stato autore di una virgola nella casella dei punti realizzati e di un eloquente -2 di valutazione complessiva.
La follia di Valentine è, però, destinata a divenire il leit motif della stagione biancorossa: 14 punti nel terzo quarto, bombe a ripetizione scagliate da sette-otto metri fuori ritmo con l’uomo addosso e senza compagni sotto canestro, penetrazioni con tiri ad una mano in step back, addirittura avvicinamenti a canestro con movimento da post basso.
Recupera palloni e cattura rimbalzi, piazza assist e rimette definitivamente l’inerzia della partita nelle mani di Trieste, che in un amen torna avanti di due possessi e rimarrà in vantaggio fino alla fine.Un rebus irrisolvibile per la difesa partenopea, ma anche per il suo coach: l’azione nella quale viene chiuso in un angolo dal raddoppio napoletano e si agita indicando una “T” agli arbitri nel tentativo di chiamare time out come faceva a Chicago (commettendo infrazione di passi con faccia stupita perchè il time out non gli era stato inspiegabilmente concesso) è l’emblema di quanto questo ragazzo viva totalmente fuori da ogni tentativo di inquadramento, caratteristica che peraltro porta di gran lunga più fatturato che danni: alla fine, per lui sarà doppia doppia da 17 punti e 12 rimbalzi. Napoli, però, gioca in casa in un ambiente capace di infondere energia, ha un coach che fa del carattere la sua cifra distintiva, ed è anche dotata di grande talento: Pangos e Copeland rispondono colpo su colpo rendendo il match godibile ed emozionante nonostante gli innumerevoli errori. Si arriva negli ultimi cinque minuti sostanzialmente in equilibrio, un equilibrio che viene definitivamente spezzato dall’uomo-robot, anche a Napoli in campo per 35 minuti: Jarrod Uthoff, con la sua espressione sempre indecifrabile che apparentemente non trasmette emozioni, fiuta il momento e si carica la squadra sulle spalle. E’ il tempo dell’organizzazione e del fosforo, non più della follia e dell’improvvisazione. E’ il tempo della leadership e della freddezza, doti che al nativo dell’Iowa non difettano nemmeno in minima misura. Tre stoppate (di cui due su tiro da tre ed una, a Woldetensae, a due mani con pallone rimasto in possesso triestino), due palle recuperate, innumerevoli rimbalzi e, soprattutto, due bombe consecutive e due canestri da sotto mettono di fatto fine alla contesa.
Ne risultano numeri che testimoniano di una prestazione collettivamente eccellente, sebbene l’eccellenza sia distribuita in modo disomogeneo fra i singoli e fra i quarti di gioco. Ciò che più conta, però, sono i 4 uomini in doppia cifra, il dominio a rimbalzo (42 a 28 con 10 carambole offensive), le 6 stoppate date, il 65% da due punti (doppiata la prestazione contro Milano) e le 17 triple con il 45% da oltre l’arco, i 20 assist (di cui 9 piazzati da un Colbey Ross in campo per soli 22 minuti), cifre che si riassumono in un eloquente 121-66 di valutazione finale. Certo, le 23 palle perse suonano come una puntina da giradischi strisciata di traverso sul vinile, ma tutto sommato raccontano di una partita che Trieste riesce a portare a casa in modo netto nonostante molti angoli da smussare, dimostrando in tal modo grande capacità di leggere le situazioni e porvi rimedio strada facendo. La sofferenza di Johnson sotto canestro, specie quando è costretto ad andare a concludere in modo statico da post basso e spalle a canestro, contro un reparto lunghi partenopeo costituito dal solo Totè non può che essere un campanello d’allarme, anche perchè Candussi ama giostrare lontano da canestro e le prossime due avversarie, Tortona e Reggio Emilia, sono dotate di tonnellaggio e centimetri che nel pitturato costituiscono una specie di caveau della Banca d’Italia. E la percentuale da lontano, anche se distribuita fra tre fini esecutori ed altri tre decenti finalizzatori, non potrà rimanere in ogni partita tale da permettere di ovviare a scarsa dinamicità sotto il ferro. Non deve ingannare la clamorosa percentuale da due punti realizzata a Napoli: è frutto di soli 20 tiri (contro le 38 triple tentate) e quasi sempre dalla media distanza o in veloce penetrazione da contropiede o palla recuperata.
I due punti in classifica, che mantengono Trieste al primo posto assieme a Trento, Brescia, Tortona e Bologna, permette però di affrontare l’ennesima settimana serena in preparazione alla trasferta di Casale contro una fra le prime tre forze del campionato. L’asticella perciò si alza ulteriormente, l’upgrade richiesto verso l’eccellenza e la legittimazione delle ambizioni è ancora più indispensabile. In tal senso aiuterebbe magari che, prima o poi, venga sciolto il mistero sulle reali condizioni di Justin Reyes, che compagni di squadra, allenatori e GM si affannano a definire ottime ma che, di fatto, non permettono ancora al giocatore di essere ancora iscritto a referto. Un americano in più, oltretutto in grado di ricoprire in modo credibile tre ruoli, ridarebbe profondità a rotazioni che al momento sembrano davvero cortissime, davanti all’evidenza degli zero minuti giocati in tre in due partite dal trio Bossi-Campogrande-Deangeli. Vedere Markel Brown chiedere disperatamente il cambio per riprendere un po’ di fiato nel secondo tempo e non venire nemmeno preso in considerazione è un aspetto che, alla lunga, potrebbe avere conseguenze fisiche imprevedibili. E dunque, più che di morbosa curiosità sullo stato di salute di una persona, si tratta di riuscire ad inquadrare il futuro prossimo della squadra.
Intanto, a livello statistico, fa impressione osservare come Trieste sia giunta alla dodicesima vittoria nelle ultime 13 partite ufficiali disputate, l’ottava consecutiva in trasferta. Pensare che a fine aprile (del 2024!) arrivava la sconfitta in casa con l’Urania Milano, oggi, fa quasi tenerezza…
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Crediti: foto Panda Images